“Il porto delle nebbie” di George Simenon: lupi di mare e antiche vendette

Il protagonista di questo romanzo non è Maigret, e nemmeno l’assassino a cui sta dando la caccia. Il vero protagonista di questo giallo è la piccola cittadina portuale di Ouistreham, nella bassa Normandia, imprigionata da una nebbia sottile che non molla mai la presa. Il romanzo è interamente ambientato in un’atmosfera che, riprendendo le parole di Simenon, non si può definire sinistra perché “è un’altra cosa, una vaga inquietudine, un’angoscia, un’oppressione, la sensazione di un mondo sconosciuto al quale si è estranei, e che continua a vivere di vita propria intorno a noi”. Se dovessi definire in una frase sola la nebbia non avrei saputo trovare parole più adatte di quelle che ha usato Simenon, un autore che amo moltissimo e che non smette mai di sorprendermi. Il suo stile è perfetto: essenziale ed intenso, non si perde mai in inutili descrizioni nemmeno quando deve aiutarci a sbrogliare  ingarbugliate matasse fatte  di assassini, lupi di mare e antiche vendette mai portate a termine.
Una massa scura nell’oscurità. Un puntino luminoso sul ponte. Un altro, quello in cima all’albero, che pareva già una stella smarrita in un cielo da fortunale.
Ouistreham è un susseguirsi di tipiche abitazioni marinare, perennemente avvolte dalla penombra e dall’aria elettrica che precede la tempesta, la cui vita segue il ritmo dei lavori portuali. Alle prime luci dell’alba le attività del porto sono già in pieno fermento: canali, chiuse, chiatte a motore, pescatori e marinai pronti a salpare animano la banchina fino a sera, quando la nebbia arriva a posare il suo velo di inquietudine sull’operosa borgata. A quell’ora è la bettola del paese ad animarsi, la “Buvette de la Marine”. Dal tramonto fine a notte inoltrata il fumoso locale, l’unico luogo di ritrovo del paese, si trasforma in un teatro in cui ognuno ha una storia da raccontare. Stivali di gomma entrano scalpicciando, berretti da marinaio vengono appoggiati su tavoli pieni di tacche, mentre l’acquavite ritempra dalle fatiche del giorno o di mesi interi. La suggestione esercitata dalla penna di Simenon su noi lettori è tale che  ci si scorda di tutto il resto: è facile dimenticare come in quel luogo che pare uscito da un quadro di Monet si nasconda in realtà una storia torbida, in cui tutti sembrano mentire e nascondere qualcosa. In effetti è proprio così: nessuno di loro dice la verità, perché hanno tutti paura che la polizia possa interferire con le loro miserie ed i loro segreti. Per la prima volta Maigret si trova osteggiato nella sua ricerca da un intero paese, proprio perché appartenente ad un’altra realtà. Un poliziotto parigino probabilmente non avrebbe mai saputo capire cosa significhi realmente essere un marinaio di Ouistreham: in quel porto sperduto della Normandia, in cui tutti si conoscono ed in cui la vita di mare detta le sue regole,  il rispetto e la dedizione nei confronti del proprio equipaggio sono una questione di vita o di morte. L’aspetto psicologico dei protagonisti ha come sempre una grande importanza ed anche questa volta costituisce l’elemento cardine su cui si basa tutta la vicenda. L’animo umano, con le sue molteplici sfaccettature e contraddizioni, è l’indizio che il nostro commissario non si dimentica mai di esaminare. Per Maigret il metodo razionale è secondario: è l’empatia che prova nei confronti delle persone a rappresentare quasi sempre la chiave di volta per la risoluzione del mistero.
E’ un caso poliziesco anomalo per Maigret sotto tanti aspetti,  non solo per il fatto che il commissario viene messo letteralmente “nel sacco” da un’intera comunità. La scoperta della verità arriva nelle ultime dieci pagine, ed è sorprendente perché Simenon non ha fatto altro che depistarci per tutta la durata del racconto: ci ha fatto smarrire nella nebbia, ci ha fatto spiare attraverso le finestre delle case, ci ha accompagnato a bere un boccale di birra a “La Buvette” senza concederci mai la possibilità di nutrire concreti sospetti. E’ strano inoltre leggere un episodio in cui la moglie non fa nessuna incursione, neppur minima, ed è ancora più raro non imbattersi in nessuna descrizione di Parigi. La vita parigina raccontata da Simenon mentre sposta Maigret da un capo all’altro della città è qualcosa di sublime, e dà ai suoi gialli quel tocco in più che li rende così speciali.
Ci ritroviamo quindi tra le mani un romanzo particolare, orfano di molti tratti caratteristici di Maigret ma ricco di fascinazioni e malìa. Un’atmosfera cupa ed opprimente, – a tratti quasi onirica – che Simenon riesce a trasporre in maniera magistrale sulla carta, un mistero fitto come la nebbia del porto di Ouistreham, antichi dissapori e questioni di “famiglia” mai risolte  che si celano tra la foschia e la bruma di una notte senza fine: divertimento e delizia allo stato puro.

“Il porto delle nebbie”, Georges Simenon (Gli Adelphi)

41RHM7xH6hL._SX316_BO1,204,203,200_

3 pensieri riguardo ““Il porto delle nebbie” di George Simenon: lupi di mare e antiche vendette”

  1. è meraviglioso, adoro Simenon in tutte le sue forme ma, il mio amore è Maigret…altrettanto sublime e sulla “falsariga” di questo è “Maigret nella casa dei fiamminghi”, altra insondabile atmosfera di provincia al confine, nebbia, acqua, misteri e odori intensi.

    Piace a 2 people

  2. Anche io amo tano Maigret, ho l’intera collezione che mi regalò mio padre e da allora li centellino…ho paura di finirli troppo presto, perchè poi? Come faccio senza Maigret? In ogni caso mi appunto il titolo che mi hai suggerito così saprò già quale sarà il prossimo che leggerò.

    "Mi piace"

Lascia un commento