Essersi tirata addosso tutto ciò era una cosa terribile; ma dopo un po’ la situazione non era senza una certa paurosa gioia. La facilità con la quale anche la donna più timida prende a volte gusto al terribile, quando è amalgamato con un piccolo trionfo, è stupefacente.
Mese: febbraio 2019
“Dentro l’acqua”, di Paula Hawkins: le streghe sono tornate
“Alcuni dicono che quelle donne hanno lasciato qualcosa di sé nell’acqua, che il fiume ha trattenuto un po’ del loro potere, perché da allora le sue sponde attraggono le donne infelici, disperate, perdute. Vengono qui e nuotano con le loro sorelle.”
“Il piccolo naviglio”, di Antonio Tabucchi: una storia senza maiuscole.
“C’è la Storia con la maiuscola, scriteriata fanciulla che reca festosa lutti e iatture; la storia senza maiuscole del nostro paese, per il quale continuo a nutrire la nostalgia di ciò che avrebbe potuto essere e non è, mischiata a un senso di colpa per una colpa che non mi appartiene; la nostra lingua, che ho cercato di difendere scrivendola. E soprattutto c’è il fenotipo di molti miei personaggi a venire: un personaggio sconfitto ma non rassegnato, ostinato, tenace. Fedele, come ha detto un poeta, “alla parola data all’idea avuta”. L’idea che noi siamo perché ci raccontiamo e che lui potrà esistere soltanto se riuscirà a raccontare la propria storia. “.
Così scrive Tabucchi nella prefazione del romanzo, per spiegarci come mai, giunto ad un certo punto della sua vita, l’ultimo Sesto decide di autoproclamarsi Capitano di sè stesso e di ripercorre a ritroso la rotta del suo piccolo Naviglio, per scrivere quello che è stato, per ricordarlo, per dare un senso compiuto alla propria vita. Poi, finalmente, quando di fronte alla casa paterna riuscirà a sciogliere tutti i nodi della sua esistenza, potrà spiegare le vele e continuare il suo cammino.
“Stagioni diverse”, di Stephen King: il meglio del Re
- L’eterna primavera della speranza – Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, da cui è stato tratto il film “Le Ali della libertà” (Frank Darabont, 1994)
- L’estate della corruzione – Un ragazzo sveglio, da cui è stato tratto il film “L’Allievo” (Bryan Singer, 1998)
- L’autunno dell’innocenza – Il corpo (stand by me), da cui è stato tratto il film “Stand by me – Ricordo di un’estate (Rob Reiner, 1986)
- Una storia d’inverno – Il modo di respirazione
Una volta terminato “Stagioni diverse” avevo detto a me stessa che non me la sentivo di scrivere nulla a riguardo, perché avevo la sensazione di essermi completamente svuotata dopo aver letto l’ultima riga del terzo racconto (Stand by me). Mi sembrava che non potessi dire nulla, perché ogni commento sarebbe stato superfluo. In effetti, da questi quattro racconti hanno già tirato fuori tre film di cui due assolutamente straordinari. Cosa posso aggiungere io a tanta magnificenza? Poco. Però qualcosa, alla fine, vorrei dirla. Ci sono libri che possiamo divorare in un giorno intero, ma che dopo poco dimentichiamo perfino di aver letto. Sono fatti per il consumo, per il piacere, per oziare. E poi ci sono “QUEI libri”, quelli che riempi di orecchie per segnare un passo o un pensiero, quelli che una volta terminati ti restano dentro anche se non vuoi, quelli che entrano a far parte di un posto speciale, un “per sempre” tutto tuo che con condivideresti mai con nessuno, nemmeno sotto tortura. L’estate scorsa, sdraiata su uno scoglio, quando ho finito Stand by me fortunatamente avevo gli occhiali da sole, se capite cosa intendo. Il desiderio di diventare grandi e al tempo stesso la paura di crescere, quell’ amicizia così unica e pura come solo a dodici anni puoi sperare di trovare, perché poi puff! sparisce. E se ne va così, senza un reale motivo. Se ci pensiamo bene è vero quanto dice King : “quando si diventa adulti gli amici entrano ed escono dalle nostre vite come camerieri in una sala da pranzo, ma quando hai dodici anni per difendere i tuoi amici faresti a pugni con chiunque.” Anche se sei una femmina.
Le cose più importanti sono le più difficili da dire.
Sono quelle di cui ci si vergogna, perchè le parole le immiseriscono, le parole rimpiccioliscono cose che finchè erano nella vostra testa sembravano sconfinate, e le riducono a non più che a grandezza naturale quando vengono portate fuori.
Ma è più che questo, vero?
Le cose più importanti giacciono troppo vicine al punto dov’è sepolto il vostro cuore segreto, come segnali lasciati per ritrovare un tesoro che i vostri nemici sarebbero felicissimi di portar via.
E potreste fare rivelazioni che vi costano per poi scoprire che la gente vi guarda strano, senza capire perchè vi sembrava tanto importante da piangere quasi mentre lo dicevate.”
Chi non si è rivisto dodicenne insieme a quel gruppo di ragazzini scalcagnati? Non vi viene un po’ di magone, dopo? Io sono stata inghiottita da un’ immensa voragine di nostalgia.
E poi c’è la meravigliosa storia di Andy ed il suo sogno di libertà, un racconto che da solo potrebbe racchiudere tutte le metafore sulla condizione umana, che contiene tutte le domande e le risposte che vi sono mai venute in mente quelle sere un po’ storte in cui, sdraiati sul letto e fissando il soffitto, vi siete chiesti cosa siete venuti a fare in questo mondo. La paura e l’orrore? Mi spiace, qui non c’è nulla di tutto questo. Che poi, finiamola una volta per tutte: dove è l’orrore in King? E’ vero, a volte scrive storie che fanno tremare le budella, ma non è perché sa descrivere dannatamente bene la paura. O meglio: è molto più di questo. Lui tira fuori la paura che è in noi e ce la sbatte in faccia. E’ quella che ci spaventa a morte, non certo i banali clichè da horror spiccio che spesso utlizza. L’immedesimazione con i suoi personaggi, quasi sempre uomini e donne come tanti, che fanno quotidianamente a cazzotti con un’esitenza amara, ci trascina in una sorta di catarsi emotiva che ci lega indissolubilmente alle pagine. E questo spiega perché noi che lo leggiamo da sempre abbiamo paura dei pagliacci anche se abbiamo quarantanni suonati, degli hotel isolati non ne parliamo nemmeno, ed in genere siamo terrorizzati dalle tranquille cittadine della provincia americana…
E book? NO, grazie!
Non rifiuto il secolo in cui vivo, non sono una Amish. La verità è che la tecnologia mi annoia a morte. Non capisco cosa ci sia di entusiasmante in un telefono che fa tutto il possibile immaginabile tranne quello per cui è stato progettato, ovvero telefonare. Millemila applicazioni diverse per fare quello che in teoria dovrebbe essere un istinto naturale degli esseri umani: socializzare. Sì, sono retrò. Ed in questo caso lo considero un pregio.
5) Tornando all’inizio del post: se una cosa non la vedo, non la tocco e non occupa uno spazio fisico è come se non mi appartenesse. Non la sento mia. La percepisco come effimera, inconsistente, inesistente. E’ lo stesso motivo per cui compro anche la musica che mi piace davvero, spendendo cifre e cifre che non vi dico in cd e vinili: gli mp3 mi servono solo da riempitivo o da sottofondo mentre faccio le pulizie. I libri e la musica per me non esistono in formato virtuale. Sono come i vestiti: devo aprire l’armadio e godere di quella vista, provare piacere e soddisfazione realizzando che, seppur tra mille difficoltà, sono riuscita a crearmi una zona di comfort che mi rappresenta in pieno, che mi contraddistingue, e che segna il mio passo in questo mondo. Come direbbe Carrie in Sex and the City :” I miei soldi li voglio là dove posso vederli: tutti appesi nel mio armadio”. Libreria o armadio , che differenza fa?