Libri in pillole: “Un albero cresce a Brooklyn” di Betty Smith

Ambientato nel quartiere popolare di Brooklyn nei primi anni del 1900, il romanzo ha per protagonista Francie Nolan e la sua famiglia di immigrati irlandesi, costretta a combattere ogni giorno contro le durissime condizioni di vita dovute alla crisi economica in cui versa l’intero paese, e la conseguente mancanza di lavoro. La madre, una donna dolce ma determinata, per sbarcare il lunario lava i pavimenti dei palazzi vicini; il papà invece, che Francie adora, ha problemi di alcolismo e nonostante ami molto la sua famiglia purtroppo non riesce a contribuire concretamente al suo sostentamento. Nel cortile della vecchia e consunta palizzata in cui abitano i Nolan troneggia un albero dalla folta e rigogliosa chioma che in quell’estate assolata del 1912, anno in cui comincia la nostra storia, offre ombra e riparo alla famiglia e riempie di meraviglia i curiosi occhi di Francie. Sono in molti a chiamarlo “l’Albero del Paradiso” perché è l’unica pianta che riesce a germogliare tra il cemento dei quartieri popolari, come un dono di Dio in mezzo alle disgrazie degli uomini. Francie Nolan è come quell’ albero, che resiste alla mancanza di luce ed acqua, che invece di morire di stenti sembra combattere una lotta disperata per continuare a protendere i suoi rami verso il cielo. Francie Nolan è la povertà vista attraverso gli occhi di una ragazzina che usa l’immaginazione, il suo spirito di osservazione e l’amore sconfinato per i libri per riscattarsi da un mondo che sembra non avere un posto per lei. La sua determinazione e il suo desiderio infinito di imparare, dai libri come dalla vita, la porteranno in alto, come fosse il prolungamento di quell’albero ostinato che cresce solitario tra il cemento del suo quartiere.

Nonostante la vita dei Nolan sia oggettivamente amara e terribilmente difficile noi lettori non proveremo mai sentimenti di commiserazione o compassione, perché tutti gli accadimenti, le lotte disperate e le privazioni che subiscono sono filtrate dall’intensa gioia di vivere di Francie e dall’amore della sua disgregata famiglia.

“Nominato dalla New York Public Library come uno dei grandi libri del secolo appena trascorso, “Un albero cresce a Brooklyn” è una magnifica storia di miseria e riscatto, di sofferenza ed emancipazione di bruciante attualità.”

Buona lettura!

Libri in pillole: “Suite francese” di Irène Némirovsky

Irene Némirovsky è una delle mie scrittrici preferite, la mia comfort zone per eccellenza. Diversi anni fa la casa editrice Adelphi pubblicò per l’Italia la sua opera incompiuta, SUITE FRANCESE, che riscosse un enorme successo in tutto il mondo (è stato tradotto in 38 lingue) e che fece conoscere l’autrice al grande pubblico, me compresa. Sono stata catturata subito dalla sua prosa, innamorandomi all’istante della suo stile di scrittura essenziale, intimo, profondo. Nell’idea originaria dell’ autrice il romanzo avrebbe dovuto comporsi di 5 parti, una specie di “poema sinfonico”, ma purtroppo la Némirovsky fu arrestata durante la sua stesura e deportata ad Auschwitz. Nonostante si fosse recentemente convertita al cattolicesimo, per le leggi razziali della Francia era considerata ancora un’ebrea, e come tale subì le conseguenze della Shoah.

Era il luglio del 1942. Morì l’anno dopo di tifo, lasciando Suite Francese neppure a metà. Nei suoi appunti, poco prima di essere arrestata, scrive: 

Il libro in sé deve dare l’impressione di essere semplicemente un episodio… com’è in realtà la nostra epoca, e indubbiamente tutte le epoche. La forma, dunque… ma dovrei dire piuttosto il ritmo: il ritmo in senso cinematografico… collegamenti delle parti fra loro. L’importante sono i rapporti fra le diverse parti dell’opera. Se conoscessi meglio la musica, credo che questo potrebbe aiutarmi. In mancanza della musica, quello che al cinema si chiama ritmo. Insomma, preoccuparsi da una parte della varietà e dall’altra dell’armonia. Nel cinema un film deve avere una unità, un tono, uno stile”.

Grazie a questa sua struttura particolare, il romanzo è sopravvissuto a sé stesso: nonostante si componga solo di due delle cinque parti previste, non sembra affatto privo del suo centro. Il risultato è un romanzo corale di rara eleganza, in cui le piccole storie private dei protagonisti si mescolano con i grandi avvenimenti storici. La seconda guerra mondiale con il suo incomprensibile orrore è un’ ombra minacciosa che opprime continuamente, ma è sempre stemperato dalla bellezza di ciò che è vivo, e dalla purezza dei sentimenti che, nonostante tutto, nascono e si nutrono tra meraviglia e turbamento. I protagonisti della Némirovsky sono persone comuni, costrette ad affrontare la tragicità dei loro tempi ciascuno col proprio bagaglio di forza e di miseria, di speranza e di afflizione. La realtà ci viene raccontata senza risparmiarci nulla, togliendo quel velo di ipocrisia e di perbenismo con cui spesso vengono “abbellite” le storie di vita vissuta: a noi lettori le restituisce ripulite e vere e ce le fa amare così come sono, imperfette e difettose.

Chissà come sarebbe proseguito questo progetto se la Némirovsky avesse avuto la possibilità di terminarlo, chissà se la bellezza e la dolcezza della prima parte avrebbero perso terreno nel proseguimento della “sinfonia”, o se invece avrebbero continuato a fare da contraltare all’oscenità della guerra, come la colonna sonora di un film muto.

Mrs England, di Stacey Halls: il gotico in gran rispolvero

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in questo romanzo la protagonista, nonché l’io narrante, è Ruby May, una giovane bambinaia diplomata al prestigioso Norland Institute di Londra che, rimasta senza lavoro dopo aver rifiutato di trasferirsi in America al seguito della famiglia per cui lavorava, accetta senza indugio un nuovo incarico presso la famiglia England, nello Yorkshire. Ruby sa per esperienza che nessuna famiglia è perfetta, ma gli England sembrano incarnare magnificamente l’ideale edoardiano: un marito solido ed affasciante proprietario di una filanda, una moglie e una madre discreta, quattro bambini adorabili, una villa di campagna elegante con una nursery dislocata dal resto della casa. Ruby, appena arrivata col treno da Londra, pensa di aver trovato il luogo ideale in cui esercitare il proprio lavoro, anche se l’immagine della signora England che la osserva sulla soglia di casa le trasmette un’ inquietudine impossibile da decifrare. Non è solo la signora England a trasmettere sensazioni angoscianti, anche la lussuosa dimora che a prima vista sembrava sbucata fuori da una fiaba comincia a rivelarsi per quello che è, ovvero un guscio freddo, vuoto, immobile come una tomba. Giorno dopo giorno Ruby si troverà coinvolta nelle le pieghe di un matrimonio infelice, doloroso, in cui Mr England, uomo d’affari intraprendente e sicuro di sè, sembra incarnare la figura del marito e del padre esemplare, che offre protezione e cura alla prole e ad una moglie psicologicamente instabile. La famiglia England però non è la sola a custodire misteri e segreti inconfessabili : anche Ruby infatti serba nel cuore ricordi dolorosi che non ha mai rivelato a nessuno, dai quali fugge continuamente. In un crescendo di tensione e inquietudine, accompagnati dalle suggestioni di paesaggi brontiani magnificamente descritti, scardineremo il perbenismo di facciata degli England scoprendone miserie e debolezze, ed aiuteremo Ruby a liberarsi dall’ombra del passato.

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Un po’ “Cime tempestose”, un po’ “Rebecca la prima moglie”, quest’ultimo romanzo di Stacey Halls strizza l’occhio al romanzo gotico attingendo a piene mani dalle atmosfere della brughiera inglese di inizio 1900, foriera di suggestioni ed inquietudini come nella migliore tradizione di genere. L ‘autrice ha voluto rendere omaggio a capisaldi della letteratura di tutti i tempi cercando di ridare lustro ad un genere che in realtà non è mai sparito del tutto, anche se si colloca in un momento specifico della storia della narrativa. In questo contesto tipicamente “brontiano” la storia della famiglia England offre a noi lettori un accurato affresco della società edoardiana d’inizio secolo, un mondo ancora fortemente ancorato al passato in cui le differenze di classe erano nette ed invalicabili , così come i ruoli all’interno della famiglia.

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il Norland College, istituto in cui si è diplomata Ruby, esiste realmente ed è una prestigiosa istituzione fondata da Emily Ward a Londra nel 1892. Nel romanzo si parla molto della scuola, che ancora oggi sforna tra le migliori tate in circolazione, alcune delle quali sono state addirittura al servizio dei Royal babies. I particolari che emergono nel romanzo sono frutto di ricostruzioni molto fedeli di quello che rappresentava allora l’istituto, a cominciare dalla sua organizzazione interna fino ad arrivare agli aspetti più formali. Più volte durante il racconto la preparazione di Ruby si è rivelata fondamentale per aiutare i bambini nei momenti di difficoltà ancor più dei medici di famiglia, vecchi tromboni che guardavano queste giovani intraprendenti dall’alto in basso della loro supponenza. Un altro frammento della società di quei tempi che, disperatamente aggrappata alle sue tradizioni e ai suoi privilegi, è costretta a confrontarsi suo malgrado con le prime incursioni di modernità.

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 TE LO CONSIGLIO SE:

  • Cerchi una lettura che ti incolli alle pagine
  • Ami la brughiera e la vita bucolica
  • Ti diverti a dipanare i misteri

LEGENDA: 

📖= Uno sguardo alla trama (ma senza spoiler)

🔍= Il focus

💡= l’idea in più

Libri in pillole: “I pascoli del cielo” di John Steinbeck

Steinbeck non mi delude mai, è uno degli scrittori che amo di più in assoluto. “Pascoli del Cielo” è il nome di una valle della California, chiamata così per la dolcezza del paesaggio, talmente bello da sembrare quasi divino, e talmente invitante da ispirare nelle persone fiducia nel destino che li ha condotti fino a lì. La suggestiva bellezza della vallata però è solo una cornice che è in aspro contrasto con la vita delle persone che la abitano: uomini e donne con i loro segreti inconfessabili, i loro tormenti, il loro dolore, con la loro follia e la loro straordinaria semplicità. La grandezza di Steinbeck sta proprio in questo, nel rendere le storie più comuni degne di essere raccontate, nel dare spessore alle vite più umili, nel trasformare in pura poesia le banalità del quotidiano vivere.

E’ un romanzo corale un po’ atipico perché ogni capitolo è una storia a sè, in cui la costante non è rappresentata dai personaggi ma dall’ambientazione, che richiama l’idea, totalmente illusoria, di una vita idilliaca, spesa a contatto con la natura e nel semplice rispetto delle sue leggi. Ma il male non fa sconti a nessuno e lo vediamo insinuarsi, strisciare e contaminare ogni vita raccontata, semplicemente perché è parte imprescindibile dell’essere umano.

Libri in pillole: “Tenera è la notte” di Francis Scott Fitzgerald

Francis Scott Fitzgerald, fin dalle prime battute di questo suo romanzo- simbolo (in assoluto il suo lavoro più ambizioso) catapulta noi lettori nel mondo dorato della Costa Azzurra degli anni venti, dove il giovane Dick e la bellissima moglie Nicole sembrano incarnare lo splendore e la freschezza di quell’epoca ruggente a cavallo tra le due guerre. Ma a poco a poco entriamo nella vita della coppia, attorno alla quale ruotano altri personaggi eccentrici e problematici, e scopriamo così che Dick è uno psichiatra e Nicole è una malata di mente che l’incesto paterno subito da adolescente ha reso schizofrenica. Moglie e marito, medico e paziente, tra i due esiste un rapporto d’amore tanto forte quanto esigente e distruttivo, simbiotico e pericoloso, che condurrà i due ad un triste ma inevitabile epilogo. L’incredibile di questo romanzo è come Fitzgerald riesca a farci sentire la solitudine e il turbamento interiore di tutti i personaggi come se fossimo noi a viverla, con lo stesso trasporto e la stessa commozione. Ed è altrettanto stupefacente come anche gli aspetti concreti della vicenda siano resi estremamente vivi e reali, tanto che molte volte pare  sentire davvero l’estate sulla pelle in quell’epoca lontana e mai vissuta, la musica jazz nelle sere stellate, le bravate tra amici, le risate, i lunghi discorsi inconcludenti tra un drink e l’altro.  E’ un libro molto delicato, per nulla melodrammatico nonostante i temi attorno ai quali si svolge, che pagina dopo pagina  lascia un gusto piacevolmente amaro, una tristezza non angosciante ma molto sottile. Un vero gioiello della letteratura che all’epoca della pubblicazione non ottenne un grande successo, che conosce cinque differenti versioni,  e che è essenzialmente un’opera autobiografica. La protagonista femminile del romanzo è infatti la trasposizione letteraria di Zelda, la moglie nevrotica e perennemente infelice di Fitzgerald che negli anni si ammalò di schizofrenia, proprio come la Nicoledel libro.

Ho appena chiuso il libro e l’ho riposto nella mia libreria accanto a “Il Grande Gatsby”, ma so già che sarà uno di quei rari romanzi che rileggerò negli anni.

La vera storia del pirata Long John Silver, di Eric Larsson: “quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del morto!”

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Quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del morto, yo-ho-ho e una bottiglia di rum!

Chi non si ricorda di questa canzoncina alzi la mano!

Nella finzione narrativa di Larsson è lo stesso Long John Silver, il temibile pirata con una gamba sola de “l’Isola del Tesoro” (R. Louis Stevenson, 1883) a scrivere in prima persona le sue memorie durante i suoi ultimi giorni di vita. E’ il 1792 e Silver è un uomo ormai vecchio che da tempo vive ritirato sulle coste del Madagascar. Stevenson alla fine del suo romanzo lo fece letteralmente svanire nel nulla: durante la traversata di ritorno in direzione dell’Inghilterra riesce a fuggire con una parte del tesoro dall’Hispaniola, a bordo di un canotto,  per paura di essere arrestato e fatto impiccare una volta rientrato in patria. Larsson si aggancia a questo finale aperto per imbastire una storia mozzafiato che è al contempo memoria e avventura, che racconta il mondo dei pirati spogliandolo da quella patina di fascinazione sempre presente nell’immaginario collettivo. Silver racconta senza fare sconti a nessuno, nemmeno a se stesso, le efferatezze compiute e le ingiustizie contro le quali la gente come lui combatteva, ligia soltanto al proprio codice morale, denunciando al tempo stesso anche tutte le nefandezze che facevano capo al commercio ufficiale: il contrabbando, la tratta degli schiavi, gli accordi sottobanco con i governi, le condizioni atroci in cui versavano gli equipaggi e il nonnismo dei capitani. Per tutti questi motivi lo possiamo certamente considerare anche un romanzo storico di ottima fattura, che offre una ricostruzione precisa e avvincente di quello che fu il periodo coloniale in Europa.

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Sono rimasta incantata dalla bravura di Larsson, che riesce a calarsi perfettamente nei panni del pirata cattivo rielaborandone il personaggio, o meglio, arricchendo le sfumature della sua complessa personalità pur mantenendo intatto quello che lo ha reso un antieroe sui generis: la sua sofisticata ambiguità, che da ragazzi spesso ci ha fatto patteggiare per lui . Dai, confessiamolo: a chi non stava simpatico, in fondo, Long John Silver? L’introspezione psicologica che nel romanzo di Stevenson era appena accennata qui viene eviscerata e mostrata fin dalle sue origini e ne seguiamo l’evoluzione fino all’ultimo, intenso capitolo, che mette la parola fine alla sua incredibile esistenza. Larsson raffigura il pirata come l’emblema della libertà assoluta, fisica e mentale, perché il solo significato che per lui ha la vita è l’attaccamento alla vita stessa e l’intenso desiderio di godere di ogni giorno come se fosse l’ultimo, guidato da un senso di giustizia esclusivo ed una morale propria che nulla hanno a che vedere con le leggi degli uomini, frutto della loro natura maligna e fatte per essere raggirate.

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Alcune volte, lo ammetto, l’autore si incaglia un po’ nelle descrizioni e nei lirismi, e in quelle pagine spesso mi sono arenata esattamente come farebbe un vascello pirata sulla spiaggia dei Caraibi…ma poi ho capito che dovevo godermi la sosta e basta. Perché Larsson cambia registro dall’avventura alla poesia con una rapidità che spiazza, pertanto anche i ritmi di lettura inevitabilmente seguono questa altalena stilistica. L’abilità con cui l’autore trasforma Long John Silver da anti eroe fanciullesco per eccellenza ad eroe per chi ragazzo non lo è più da un po’ è davvero sorprendente: non possiamo che restare ammirati di fronte all’ironia filosofica con cui il pirata affronta le disgrazie della vita, e da quel suo piglio indomito e fiero che non gli consente di scendere mai a patti con il buonsenso.

Perché peggio di finire sulla forca c’è solo vivere come se si fosse già morti a un pezzo.

Che io sia dannata, se non è così!

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TE LO CONSIGLIO SE:

  • Subisci il fascino dei personaggi ambigui;
  • Non vuoi dimenticarti del tuo bambino interiore;
  • Non hai mai letto “L’Isola del Tesoro” : cosa aspetti a conoscere Long John Silver?