ELEANOR OLIPHANT STA BENISSIMO, di Gail Honeyman
Di Eleanor Oliphant parlai già tempo addietro, quando qui sul blog pubblicai un’ entusiasta recensione per il gruppo di lettura che frequentavo all’epoca. ( per chi fosse interessato ad approfondire, eccola) Questo romanzo alla sua uscita riscosse un enorme ed insperato successo: il libro venne pubblicato grazie ad un concorso per esordienti e spopolò tra i lettori, diventando il rappresentante perfetto di un nuovo sottogenere letterario che si andava profilando all’orizzonte: quello della “Up Lit Literature“, ovvero la “letteratura uplifting” e cioè “edificante”, nel senso di costruttiva e positiva.
La protagonista è una trentenne londinese ordinaria: abita da sola in un bilocale, lavora come contabile in un’agenzia pubblicitaria e ha la passione per le parole crociate e la lettura. Una vita apparentemente come tante, se non fosse per alcuni dettagli che ci vengono rivelati fin da subito: è sociopatica, il fine settimana si stordisce di vodka fino all’oblio ed ogni mercoledì sera riceve le inquietanti telefonate di sua madre dal carcere. Tutto questo all’inizio genera irritazione e antipatia verso Eleanor, che nella prima parte del romanzo avrete voglia di prendere perennemente a schiaffi, ma con il progredire della storia qualcosa nella sua corazza si incrina. Poco alla volta, attraverso quelle crepe, riusciremo ad intravvedere tutta la sofferenza e la fragilità che le sue manie di controllo ed un’ inespugnabile routine quotidiana riuscivano a celare al mondo. Mentre insieme a lei affrontiamo il suo percorso di rinascita, l’empatia poco alla volta prende il posto dell’insofferenza fino a coinvolgerci profondamente in quella che è storia toccante di solitudine ed emarginazione, di speranza e di riscatto di cui non sapevamo di avere così bisogno.
CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI, di Valérie Perrin
“Cambiare l’acqua ai fiori” è uno di quei romanzi che ti fanno riconciliare con la vita e che per questo motivo vorresti non finisse mai. Se il termine “up-lift” nella letteratura ha un senso, sta proprio nelle 480 pagine di questa storia: Violette Tuossaint è la custode del cimitero di un piccolo paesino della Borgogna, una giovane donna bella e solare che guarda la vita con incanto e ottimismo, a dispetto del luogo in cui ha scelto di abitare e di un doloroso passato. In quel microcosmo sperduto in cui il respiro dei morti si fonde coi palpiti dei vivi, un evento imprevedibile arriverà a scuotere l’esistenza che Violette è riuscita a costruirsi con tanta fatica, costringendola a riaprire la scatola dei ricordi e a fare i conti con i suoi demoni. Ad ogni capitolo si alternano salti temporali, frammenti di diari, lettere dal passato e nuovi incontri che, uniti dal filo del racconto, ci aiuteranno poco alla volta ad entrare nella vita di Violette e a comprendere le ragioni di quella sofferenza che pare esserle così familiare. Perché la scelta di vivere all’interno di un cimitero non è stata una decisione come tante, tutt’altro. E la gioia di vivere che sprigiona, e che manifesta silenziosamente attraverso gesti quotidiani semplici, come improvvisare un pranzo con le verdure dell’orto o curare i fiori tra le lapidi, è il solo modo che conosce per sopravvivere: lasciarsi andare al dolore, accoglierlo come un amico così come si accoglie la gioia e perdersi dentro questo caleidoscopio di sentimenti senza opporre resistenza. Violette Toussaint è un luminoso esempio di rinascita, di speranza, un emblema di resilienza che ci farà guardare alla nostra esistenza con occhi diversi e, soprattutto, grati. Anche solo per qualche minuto.
FINCHE’ IL CAFFE’ E’CALDO, di Toshikazu Kawaguchi
I libri giapponesi sono così: un insegnamento dietro l’altro, una filosofia di vita che si apprende tra le righe, un viaggio in bilico tra realtà e mondo onirico che da Murakami in poi ha fatto scuola ed ha finito per stigmatizzarli un po’ tutti. Quindi, prima di intraprendere questa lettura, è bene sapere che se siamo lettori molto razionali questo romanzo non fa per noi.
Questa è la storia di una caffetteria giapponese molto particolare, e dei suoi avventori. Pare che sia aperta da più di cento anni e che sia possibile, per chi ha il coraggio di entrarvi, rivivere un momento preciso della propria vita semplicemente bevendo una tazza di caffè. Ma c’è una regola fondamentale da rispettare perché questo avvenga: è assolutamente necessario finirlo prima che si raffreddi. Ecco quindi che la caffetteria rappresenta un’occasione per riavvolgere il nastro, per rimangiarsi quelle parole che non avremmo mai dovuto pronunciare in quel preciso momento, per imboccare l’altra strada davanti al bivio della nostra esistenza. Chi ha il coraggio di varcare la soglia e sedersi su quello sgabello solitario scoprirà una cosa fondamentale, che poi è il messaggio di fondo che l’autore vuole rappresentare con questa storia surreale e poetica: viaggiare indietro nel tempo e rivivere alcuni brevi istanti del nostro percorso terreno non modificherà nulla del nostro presente, ma può donarci la pace ed insegnarci il perdono e l’accettazione. Il passato non si può cambiare, ma possiamo farne tesoro per plasmare un futuro che, invece, è una pagina bianca ancora tutta da scrivere.