Questo libro non è solo una bellissima storia da leggere: è decisamente terapeutico. E’ una medicina per l’anima di cui non sapevamo di avere bisogno, un piccolo rifugio in cui riposarci dall’iperattività delle nostre vite in cui a volte, purtroppo, sembriamo criceti che corrono all’impazzata dentro una stupida ruota che gira a vuoto. Ero incuriosita da questo romanzo ma al tempo stesso gli sono stata per molto tempo alla larga, soprattutto a causa del titolo: avevo infatti la sensazione che fosse una banale storia d’amore, ed io non amo le storie d’amore fine a se stesse, anzi potrei quasi affermare che non le sopporto proprio. Non leggo i romance, la parola “amore” sulla carta stampata mi fa scappare a gambe levate. Il consiglio di un’amica però mi ha convinta ad acquistarlo, e non le sarò mai grata abbastanza per avermi regalato una delle letture più intense e affascinanti che abbia mai fatto.
La protagonista della nostra storia è Julia Win, una giovane donna newyorkese che ad un certo punto della sua vita si ritrova catapultata in una piccola casa da tè di Kalaw, tra le montagne della Birmania, sulle tracce del padre improvvisamente scomparso. Tin Win, questo il nome di suo padre, da ragazzo si trasferì dalla Birmania in America per motivi di studio e da quel momento in poi visse stabilmente a New York, diventando cittadino americano e, successivamente, un avvocato di successo della grande mela. Una vita apparentemente ineccepibile, limpida. Ma ora Tin Win è scomparso, e le sue ultime tracce si perdono a Bangkok, in Thailandia, facendo supporre alla famiglia che l’uomo avesse in realtà una doppia vita fatta di vizi ed eccessi…ma un giorno la madre di Julia, mentre riordina la soffitta, trova una lettera del marito indirizzata a una certa Mi Mi, a Kalaw, in Birmania. “Mia amata Mi Mi, sono passati cinquemilaottocentosessantaquattro giorni da quando ho sentito battere il tuo cuore per l’ultima volta”. La scoperta di questa lettera porterà Julia Win a compiere un viaggio indietro nel tempo, alla ricerca di suo padre e delle sue origini, e da quel momento in poi si dipanerà tra le pagine una storia emozionante, che intreccia alla perfezione la realtà con la magia dell’impossibile. La filosofia buddhista da un’impronta speciale al romanzo regalando a questa storia d’amore una purezza a noi sconosciuta , che fa commuovere senza mai scivolare nel patetico.
L’autore ha la capacità di entrare nell’anima di chi legge con delicatezza e innocenza, risvegliando emozioni, ricordi, e tutto ciò che di buono inconsapevolmente custodiamo dentro di noi. E’ inevitabile quindi lasciarsi trasportare dalle sue parole: sembra che ci voglia prendere per mano per condurci nel cuore della magica Birmania e di noi stessi, alla scoperta di una spiritualità che troppo spesso noi occidentali trascuriamo, così persi nella frenesia del quotidiano da non riuscire mai ad entrare in contatto con la nostra dimensione più intima e vera.
“L’amore ha tante forme differenti, tanti volti, che la nostra fantasia non basterebbe a immaginarli tutti. La difficoltà sta nel riconoscerlo quando ce l’abbiamo davanti”.
“E perché poi dovrebbe essere così difficile?”
“Perché vediamo solamente quello che conosciamo. Siamo convinti che gli altri siano capaci di fare solamente ciò che sappiamo fare anche noi, nel bene e nel male. Per questo riconosciamo come amore solo quello che corrisponde all’immagine che ne abbiamo. Vogliamo essere amati come amiamo noi. Ogni altro modo ci è estraneo, lo guardiamo con dubbio e sfiducia, ne fraintendiamo i segni, non capiamo la sua lingua. Accusiamo. Affermiamo che l’altro non ci ama. E invece forse ci ama in un modo tutto suo, che noi non conosciamo.”