“Alabama Song”, di Gilles Leroy: Zelda racconta

E’ il luglio del 1918 quando Zelda, figlia di un anziano e severo giudice di contea, incontra al Country Club di Montgomery Francis Scott Fizgerald. Sottotenente dell’esercito americano con l’ambizione di diventare un grande scrittore, si arruolò durante il conflitto mondiale ma non venne mai spedito al fronte. La guerra è ormai agli sgoccioli quando viene spostato al campo di addestramento in Alabama: si innamora perdutamente di Zelda ma pochi mesi dopo il suo reparto viene trasferito in una base militare di Long Island per l’imbarco. Pochi mesi dopo otterrà il congedo dall’esercito e farà ritorno a New York, fermamente intenzionato a scrivere il suo primo romanzo,  non prima però di aver chiesto la mano  della più bella ragazza di Montgomery. Zelda è poco più di una bambina, e nonostante ami Scott non ha nessuna intenzione di aspettare pazientemente che il fidanzato ottenga il successo sperato privandosi dei divertimenti a cui era abituata. Fu un periodo di missive burrascose, che però non minarono l’unione. Giovani, spregiudicati ed innamorati, i due ragazzi  si sposano il 3 aprile del 1920 a New York, dove iniziò “la grande leggenda della bellissima coppia, eroina, simbolo ed interprete di tutte le prodezze sofisticate dell’età del jazz”. In quel periodo Scott aveva appena dato alle stampe “Di qua dal Paradiso”, e fu un enorme successo. Critica e pubblico accolsero con grande entusiasmo il romanzo, dimostrando di apprezzare lo stile fresco, innovativo e spregiudicato di Fitzgerald. Scott, giovanissimo, diventò così il simbolo di una nuova generazione, quella che si andava profilando dopo gli anni terribili della Grande Guerra: era iniziato il periodo più sfrenato del ‘900, permeato da un’intensa gioia di vivere che spesso raggiungeva livelli estremi di esaltazione. Ma questa non è la storia di Scott, e nemmeno quella dei ruggenti anni venti. Questa è la storia di una giovane donna ribelle e spregiudicata, per la quale la famiglia di origine e la vita di provincia rappresentavano   un’inutile  zavorra che le impediva di volare libera. Era erotica e sensuale Zelda, ed amava esserlo. Gli uomini   perdevano la testa per lei e lei adorava essere corteggiata, ma non si concedeva mai veramente; usciva con i militari di stanza a Montgomery (seppur colleghi di Scott), ed i compagni di liceo senza badare ai pettegolezzi e alla disapprovazione dei genitori, incurante di tutto eccetto che di sè stessa e del proprio appagamento. L’estrema severità del padre e l’incomunicabilità con la madre spinsero Zelda alla ribellione, ma non fu necessario alzare barriere ed inneggiare alla guerra: era come se avesse seguito un’onda naturale, la piega perfetta, l’unica che potesse prendere la sua vita. Oggi  Zelda viene considerata una  “femminista ante litteram“, ma per quei tempi non fu altro che una donna scandalosa e modaiola, a seconda dell’ambiente a cui si rapportava. Portava i capelli alla maschietta,    usciva da sola o con chi più l’aggradava atteggiandosi come un uomo, beveva troppo e faceva il bagno completamente nuda: se questo a New York o in Europa era considerato un comportamento accettabile ed addirittura affascinante, si scontrava invece  duramente con la cultura dell’ america del sud, ancorata a solide tradizioni per le quali le donne dovevano essere creature docili ed irreprensibili, senza ambizioni nè desideri.  Zelda  era l’opposto di quell’archetipo, e fu proprio il suo anticonformismo ad attirare dannatamente Scott, anche lui lontano anni luce dall’immagine del  bravo ragazzo americano. Gli anni venti ebbero così la loro stella,  strappandola ai cieli infuocati dell’Alabama. Quella di Zelda fu un’esplosione di luce tanto fugace quanto intensa, che bruciò ogni cosa, come un incendio devastante: amore, famiglia, carriera, sogni, speranze. Sopravvissero al suo declino solo i ricordi della fanciullezza, che custodiva come un tesoro prezioso in un angolo di sè, uno dei pochi che ancora l’elettroshock non aveva distrutto. Il luogo più intimo, il più inaccessibile di tutti,  in cui era sempre giovane e bella, innamorata,  seducente ed affamata di vita. L’Alabama, da cui era scappata con Scott per mordere la vita, si trasforma in nostalgica dolcezza e diventa il leitmotiv che accompagnerà la sua vita adulta.

Il matrimonio con Scott fu una perenne corsa  sulle montagne russe, con picchi di euforica felicità e precipitose discese all’inferno. Un uomo e una donna simbiotici ed autodistruttivi, lanciati a folle velocità verso un futuro di cui  non importava a nessuno, icone di un’epoca dorata in cui gli artisti venivano idolatrati, come oggi faremmo con una rockstar. E loro, investiti da tanta magnificenza, si sentivano forse in dovere di restituire qualcosa al pubblico adorante, dettando mode e sovvertendo qualsiasi regola morale. Gli artisti hanno un tormento interiore che costituisce parte fondamentale del loro genio, ma per Scott è diverso. Il vero tormento è Zelda a portarselo addosso, e Scott non può far altro che assimilare il suo male di vivere, osservarlo, spiarlo ed ispirarsi ad esso per i suoi romanzi. Anche se questo significava rubare i diari che Zelda scriveva sin  da quando era ragazza, o sabotare la pubblicazione della sua raccolta di racconti aggiungendo il nome “Scott” accanto al cognome di entrambi. La sofferenza psichica di Zelda diventa essenziale per la scrittura di Scott, i cui personaggi femminili interpretano ognuno una fase diversa della vita della moglie. Nel giro di pochi anni le stelle più sfavillanti del firmamento europeo si spengono poco alla volta, lasciando il vuoto intorno come gigantesche supernova. Scott non riesce più a scrivere niente di decente, è imbottito di alcol e debiti, non riesce più a fare l’amore con sua moglie perché sono più le volte che si addormenta ubriaco fradicio di quelle in cui è sveglio. Zelda lo tradisce, scappa ad Antibes con un aviatore francese, ma Scott torna a riprenderla per rinfacciarle quel tradimento fino alla fine del loro matrimonio. La bellezza di Zelda comincia a sfiorire, i demoni interiori la tengono stretta in una morsa micidiale, cominciano i ricoveri nelle cliniche psichiatriche, le sedute interminabili con i dottori, gli elettroshock. “Scott, mio marito, è stata una trappola di cristallo: ha rubato la mia vita, la mia essenza, la mia arte“. Ma i medici non le danno retta, è Scott che paga le loro parcelle, e la diagnosi è quella di schizofrenia.  Chi può mai sapere se Zelda fosse stata realmente plagiata dall’amato Scott o se la sua fu semplice ispirazione? Quella del marito era gelosia per un talento puro, che non aveva bisogno di anni di incessante lavorìo, o era sincera ammirazione? I disturbi psichici di Zelda erano gravi  al punto da farle percepire tutto attraverso un filtro distorto? E’ stata la sua follia latente a condurre Scott passo dopo passo sull’orlo del baratro, alcolizzato e senza più vena creativa, o fu la depressione di Scott a distruggerla definitivamente? Era folie a’ deux o era solo troppo amore? Questo romanzo non ha la pretesa di stabilire una nuova verità, è solo la vita di Zelda raccontata  attraverso i suoi occhi ed è composto come un diario, simile a quelli che la donna – presumibilmente – ha sempre tenuto fin da quando viveva ancora in Alabama. Non esiste una trama lineare, le pagine sono pensieri che prendono forma un po’ alla volta, come se arrivata ad un certo punto della sua vita Zelda sentisse la fine vicina e venisse travolta dai ricordi. Il piano temporale è sfalsato, gli anni si rincorrono veloci e si raggomitolano su sè stessi, ma seguire il flusso dei suoi pensieri è semplice, perchè per comprendere un romanzo così intimo non è  necessario seguire lo scorrere del tempo. Il filo conduttore è qualcosa di sfuggente, che non si può misurare: è la nostalgia, è un  demone interiore che non si riesce mai a vincere,  che respingiamo e cerchiamo con la stessa ostinata disperazione.

🔖 Zelda Sayre Fitzergald morì all’età di quarantasette anni nell’incendio nell’ospedale psichiatrico in cui era ricoverata a causa della sua instabilità mentale, dovuta secondo alcuni ad una grave forma di schizofrenia, secondo altri ad una depressone congenita. Nel 1932 pubblicò il romanzo autobiografico “Save Me the Waltz” (Lasciami l’ultimo valzer), in cui sono presenti numerosi spaccati della sua vita matrimoniale. “Tenera è la notte” venne pubblicato da Francis Scott Fitzgerald nel 1934, e leggendolo è impossibile non capire dove  trasse ispirazione per i personaggi di Dick e Nicole. O dove fu il plagio.