Tre libri dalla parte delle donne

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il “femminismo”, inteso come movimento socio culturale, ha segnato l’epoca moderna e ancora oggi continua ad essere il promotore di numerose battaglie per l’affermazione dei diritti di genere. Non dovrebbe essere una questione ancora aperta, ma il fatto che nel 2022 continui a fomentare dibattiti, a promuovere manifestazioni e istigare movimenti a tutela delle donne (dal recente “me too moviment” alla difesa del diritto all’aborto, minacciato dai governi più conservatori) la dice lunga su quanto in realtà siamo ancora molto lontani dal raggiungimento del suo obiettivo fondamentale: una presa di coscienza collettiva, forte e coesa, in grado di insinuarsi nella struttura patriarcale della nostra società. L’asservimento delle donne alla figura maschile è una realtà sociale ancora molto radicata, soprattutto in ambito familiare, ma spesso non ne siamo consapevoli. Inconsciamente mettiamo in atto meccanismi che ci riportano indietro di cent’anni, con buona pace di Emmeline Pankhurst e di Simone de Beuvoir, che col suo trattato “Il secondo sesso” fece tremare la classe politica di allora e scomodò persino il Vaticano. Per questo motivo vale la pena leggere ( o rileggere, perché no) questi tre saggi: perché ci insegnano a riappropriarci della nostra individualità, messa in crisi da anni di relazioni prevaricanti (in ogni ambito della vita), ribadendo i concetti che stanno alla base di una “mentalità femminista” sana e necessaria, che rifugge dagli estremismi e dalla violenza verbale del passato.

  1. UNA STANZA TUTTA PER SE’ di Virginia Woolf

Una delle opere più amate e conosciute di Virginia Woolf è il saggio breve “Una stanza tutta per sè”. Pubblicato per la prima volta nel 1929 e rivolto inizialmente alle sole studentesse di Cambridge, nel tempo è diventato un vero e proprio manifesto culturale del femminismo. Quello buono, sano e giusto. Quando lo lessi per la prima volta avevo circa vent’anni e mi era sembrato che la Woolf si stesse rivolgendo proprio a me, spronandomi a perseverare nei miei obiettivi e a non abbandonare i miei sogni di ragazzina, anche se la mia vita stava prendendo una piega decisamente diversa.  Ho riletto questo suo saggio di recente ed ho compreso che, se interpretato nel modo giusto, può contribuire a migliorare la quotidianità anche di donne già mature, che con la vita sono dovute scendere a patti. In uno dei suoi passi più significativi l’autrice sprona le sue lettrici a rendersi economicamente indipendenti, a ritagliarsi uno spazio proprio, sia fisico che mentale, nel quale esercitarsi a scrivere in piena autonomia di pensiero. Tendiamo infatti a tralasciare quello che per la Woolf è invece essenziale: Il coraggio di esprimersi liberamente. Quella forza creativa che, se risvegliata dal torpore, è in grado di ridare vita alle scrittrici  invisibili, morte senza essere mai nate veramente, inghiottite da un mondo di uomini fatto su misura per gli uomini. Come l’immaginaria sorella di Shakespeare, che la Woolf assurge a simbolo massimo del genio e della creatività femminile rimasti inespressi poiché schiacciati dalle società patriarcali che da sempre dominano la storia. Come quella che vive e freme  in ognuna di noi, sotto pile di indumenti da stirare.

“Una stanza tutta per sè” non deve quindi essere percepito come un luogo fisico, perché la Woolf parla di un luogo dell’anima. Così come le poetesse sconosciute a cui ridare vita non sono altro che la sua personale metafora sull’ emancipazione femminile, fondamentale punto di arrivo (o forse di partenza) per le donne di qualsiasi generazione.

2. STAI ZITTA di Michela Murgia

“…e altre nove frasi che non vogliamo sentire più.

Al netto di alcune esagerazioni di troppo ritengo che il lavoro di Michela Murgia sia piuttosto interessante, perché riesce sbugiardare molte espressioni tipiche del nostro linguaggio comune, rivelandone la natura fortemente maschilista e misogina. La Murgia elenca con precisione queste dinamiche linguistiche e le eviscera una ad una, fino a dimostrare come certi modi di dire siano entrati talmente tanto a far parte del nostro parlato quotidiano da non farci più percepire il loro vero significato. Secondo l’autrice tra le ingiustizie che subiamo in quanto donne e le parole che ci vengono quotidianamente rivolte esiste un legame profondo, avvilente e mortificante, che con questo breve saggio cerca di mettere a fuoco. Ad esempio, quando si parla di una donna che svolge egregiamente una professione importante, si fa sempre riferimento al suo essere o non essere madre, come se il fatto di avere o meno dei figli sia determinante per riconoscerne il valore sociale. “E’ molto brava nel suo lavoro, ed è anche mamma” è la frase simbolo che ogni tre per due viene sciorinata dal giornalista di turno. Basti pensare alla povera Samanta Cristoforetti che si è dovuta sorbire soprannomi del tipo “Astromamma”, con relativi commenti poco edificanti sulle sue scelte professionali a discapito della famiglia: aggettivi inutili e fuorvianti che inevitabilmente portano in secondo piano l’eccezionalità della sua carriera. Che in realtà è ancora scivolata in terza posizione, visto gli insulti ricevuti per essersi mostrata al mondo con una capigliatura da assenza di gravità che secondo alcuni “luminari” la denigrava come donna. Come detto all’inizio del post in alcuni punti ho trovato lo scagliarsi della Murgia contro queste frasi di uso comune un po’ eccessivo e ridondante, con esempi e passaggi ricchi di autocompiacimento, tuttavia ne consiglio la lettura perché contiene molti spunti di riflessione, da rielaborare per un nostro accrescimento personale.

3. DOVREMMO ESSERE TUTTI FEMMINISTI di Chimamanda Ngozi Adichie

Questo saggio, pubblicato nel 2014, è l’adattamento di una conferenza che l’autrice tenne qualche anno prima durante l’evento TEDxEuston. TED è un’organizzazione no profit americana che ha come obiettivo la diffusione di idee innovative e stimolanti che possono cambiare la vita delle persone e il modo in cui esse si relazionano l’una con l’altra. Nessuno meglio di Chimamanda avrebbe potuto rappresentare questo progetto: il suo intervento ha letteralmente segnato un punto di svolta nella storia del femminismo, arrivando al cuore delle persone con una forza e una semplicità unica. Il suo speech conta ad oggi qualcosa come 5 milioni di visualizzazioni ed è stato pubblicato e tradotto in 28 lingue; il Time, nel 2015, inserisce la scrittrice nigeriana tra le 100 persone più influenti del mondo. Il successo di questo saggio sta nella diversità del suo approccio rispetto alla questione femminista: Chimamanda si definisce una “femminista africana felice”, che ama indossare il rossetto e i tacchi alti perché così si piace di più e che non odia affatto gli uomini, perché un’ attivista non deve essere necessariamente arrabbiata, in lotta perenne con il mondo. La sua non è una chiamata alle armi per affrontare l’ennesima battaglia, ma vuole far comprendere a tutti, uomini e donne, che esiste un serio problema con la differenziazione di genere e che tale situazione può essere risolta solo attraverso la consapevolezza e la volontà di smantellare i vecchi costrutti sociali. Afferma Chimamanda: “La mia definizione di “femminista” è questa: un uomo o una donna che dice sì, esiste un problema con il genere così com’è concepito oggi e dobbiamo risolverlo, dobbiamo fare meglio. Tutti noi, donne e uomini, dobbiamo fare meglio”. E’ proprio questo il punto. Educare i maschi e le femmine al valore dell’altro sesso, senza preconcetti, senza quei retaggi culturali da cui noi adulti ci stiamo liberando a fatica. Grazie all’intelligenza e alla grazia di questa scrittrice immensa il femminismo ha perso definitivamente la sua accezione negativa, dimostrando quanto non sia più necessario fare la barricadera per difendere i propri diritti, ma è sufficiente aprirsi al cambiamento ed accoglierlo al meglio.