“Volevo solo averti accanto” di Ronald H. Benson: la seduzione del male

Questo romanzo è nato nell’ intimità domestica di un avvocato americano che nel tempo libero amava scrivere storie e, in seguito alla pubblicazione in proprio e ad un inaspettato passaparola tra i lettori, è divento un clamoroso caso internazionale. Modestamente dico la mia: non è  capolavoro, assolutamente. Ma questo signore sa scrivere, e la storia che racconta è molto toccante. Il tema è quello dell’olocausto, e nonostante l’argomento sia stato già ampiamente sfruttato da ogni genere di produzione (cinema, libri, musica), a mio avviso tutto questo materiale non sarà mai abbastanza, perché c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare sulla pagina di storia più vergognosa che l’essere umano abbia mai scritto. Ogni volta è una ferita che si riapre, una ferita che appartiene all’ umanità intera e che  abbiamo il dovere di non farla mai rimarginare, affinché le generazioni future non possano dimenticare. Questo per me è il significato del Giorno della Memoria.

Il protagonista del romanzo è Ben Solomon, un ebreo polacco di 83 anni scampato per miracolo ai campi di concentramento. Emigrato negli Stati Uniti, con il tempo è riuscito a ricostruirsi una vita decente, ma non ha mai dimenticato l’orrore del passato. Perché Ben porta con sé un dolore che va oltre i fatti storici, oltre le ferite della guerra, oltre l’epopea disumana che  il suo popolo oppresso fu costretto a vivere . Ben è stato tradito dalla sua stessa famiglia, dall’ uomo che ha sempre considerato suo fratello: una ferita nella ferita.
Un giorno, mentre guarda in tv l’intervista di un famoso magnate di Chicago, Elliot Rosenzwelg, uomo illustre, filantropo e grande benefattore della città, Ben rimane impietrito. La somiglianza è schiacciante: l’uomo è senza dubbio Otto Piatek, membro delle SS e noto come “il macellaio di Zamosc”. Lo stesso uomo che un tempo, durante l’infanzia felice vissuta in una Polonia pre – nazismo, crebbe con lui diventando di fatto un membro della sua famiglia e come tale amato, curato, protetto. Ben vuole inchiodare Elliot Rosenzwelg di fronte alle sue responsabilità e non indugia un attimo, perché il suo obiettivo ora è quello di costringere quell’ insospettabile uomo per bene ad ammettere la sua vera identità: lo deve alla memoria dei suoi cari, al suo popolo, alla sua Polonia che ancora oggi porta impresse le ferite dell’occupazione nazista e sovietica. Otto laverà il sangue dei suoi morti, di questo Ben è certo. Ma non è facile essere un anonimo vecchietto che punta il dito contro uno delle persone più in vista ed influenti di Chicago: essere tacciato di demenza senile è il minimo che potrebbe capitargli. Sulla sua strada incontrerà un’avvocatessa che riuscirà a vincere le resistenze iniziali e comincerà ad intraprendere insieme a lui un viaggio stupefacente e commovente indietro nel tempo, trasportato dai ricordi. Catherine, l’avvocatessa,  sta cercando di guarire da un passato doloroso ed è insoddisfatta di come le vanno le cose. E’ in cerca di una nuova identità come avvocato e come donna, non le basta essere solo un’efficiente macchina da soldi per un grande Studio di Chicago, ha bisogno di qualcosa di più. Ha bisogno di un ideale per cui battersi, di sentire che il suo lavoro ha davvero uno scopo, rivuole per se quell’ integrità e quell’ onestà intellettuale che ha perso da troppo tempo macinando lavoro per grandi multinazionali. Ben le darà quest’occasione, così che saranno sempre più necessari l’uno all’ altra. Egli trova l’appoggio legale di cui ha bisogno per risultare un accusatore credibile agli occhi del mondo, mentre Catherine ritroverà la sua dimensione più umana legandosi con sincero affetto a quell’ anziano ebreo sopravvissuto al campo di concentramento  Birkenau. Si commuove, resta scioccata, turbata, incredula… e noi lettori con lei.

 

Il libro è strutturato con un continuo alternarsi tra la realtà di Chicago e il racconto della vita in Polonia prima dell’occupazione nazista, fino a quando l’orrore non si riversa inarrestabile anche nel piccolo paese di Zamosc. Queste sono senza dubbio le pagine più belle del libro, perché la storia della Polonia, distrutta e depredata da ogni tipo di ricchezza, sia materiale che culturale, merita di essere conosciuta e approfondita. Dopo aver letto quello che accadde, mi sono documentata ulteriormente ed ho appreso alcuni fatti che non conoscevo.


Per questo all’ inizio della recensione ho premesso che questo libro merita di essere letto, perché rappresenta un punto di vista diverso su fatti storici ben più noti. Una finestra temporale che vale la pena aprire proprio perché la ricostruzione è molto accurata ed i fatti narrati sono realmente accaduti.


Mi sono commossa diverse volt durante la lettura. Mi sono arrabbiata ed indignata, sono stata catapultata dentro una storia da cui non riuscivo più ad uscire. E’ stato come cavalcare una gigantesca onda emotiva, per cui il mio giudizio si basa solo su quello. Perché sicuramente i capolavori sono altri, le falle ci sono, la storia quando resta a Chicago non è nulla di che, anzi, è piuttosto banale. Inoltre mi aspettavo un’introspezione psicologica del personaggio di Otto, avrei voluto capire perché da ragazzo buono ed amorevole nei confronti della propria famiglia adottiva si sia trasformato poco alla volta in un mostro autore di massacri inconcepibili. Però l’autore, nell’ intervista riportata a chiusura del libro, spiega che un chiarimento sulla deviazione morale di Otto non era previsto. Semplicemente secondo lui non c’è spiegazione, se non quella che il male da sempre seduce alcune menti, forse più deboli di altre, e la guerra non fa altro che enfatizzare tutto: l’odio genera altro odio ed alcuni ne restano affascinati fino alla fine dei loro giorni, senza provare mai pietà e rimorso. Forse, se qualche uomo di Hitler si fosse realmente pentito dei crimini perpetrati durante la follia nazista, non sarebbe sopravvissuto alla propria coscienza. Ed io personalmente non conosco storie di SS che si sono suicidate perché avevano compreso.

Forse il male fa solo il suo lavoro: protegge se stesso. E resiste.

“L’assassinio di Florence Nightingale Shore” e “Morte di un giovane di belle speranze” di Jessica Fellowes: le sorelle Mitford tra storia e delitti irrisolti

“I delitti Mitford” sono una serie di romanzi gialli usciti dalla fantasiosa penna di Jessica Fellowes, scrittrice britannica molto amata in patria grazie anche allo straordinario successo ottenuto da “Downtown Abbey”, serie tv a cui lei, nipote del suo famoso ideatore e  sceneggiatore Julian Fellowes, ha collaborato. In realtà il suo è stato più che altro un lavoro da “dietro le quinte”, quel tanto che è bastato però per farle decidere – evidentemente –  di abbandonare la sua carriera da redattrice per tuffarsi anche lei nel mondo del melò storico, attingendo a piene mani  da uno dei periodi più affascinanti del secolo scorso. La  tipica atmosfera “upstairs downstairs” edoardiana, così ricca di contraddizioni tra il forte ancoraggio al passato e le prime incursioni di modernità, viene arricchita dall’elegante suspense del giallo alla Agatha Christie e dal glamour delle indiscusse protagoniste delle cronache britanniche dell’epoca: le celeberrime sorelle Mitford.

Nancy, Pamela, Diana, Unity, Jessica e Deborah appartenevano a quell’aristocrazia inglese che, aggrappandosi ai suoi retaggi di classe, cercò di sopravvivere nel periodo a cavallo tra le due guerre mondiali senza mollare mai la presa su quello che da sempre la contraddistingueva: molteplici privilegi, grandi manieri di campagna, una numerosa servitù coordinata da maggiordomi e governanti, l’irrinunciabile stagione londinese con i suoi eventi mondani, matrimoni combinati, passioni sottaciute. Jessica Fellowes, durante la presentazione del primo romanzo della serie,  ha affermato che le sei sorelle Mitford “Hanno incarnato, talvolta con una notevole dose di anticonformismo, altre meno, lo stile di vita delle élite dell’epoca, ma anche una sorta di protagonismo femminile per certi versi ante litteram.” La più grande, Nancy, nacque nel 1904 mentre la più giovane, Deborah, nel 1920: ognuna di loro ha quindi attraversato fasi diverse della storia britannica, raggiungendo il punto più alto della propria “carriera sociale” in periodi ovviamente differenti. Le loro vicende personali si intrecciarono con i personaggi  e gli  eventi storici di quegli anni travagliati,  garantendo ad ognuna di loro esperienze uniche. La politica senza dubbio forgiò la loro personalità fin da piccole, e non sarebbe potuto essere altrimenti avendo in famiglia un cugino del calibro di Winston Churchill. Tuttavia, affascinate com’erano dalle passioni  della gente comune, nelle loro vite non mancarono incontri con i fascisti londinesi, con il quartier generale Hitleriano, addirittura con i militanti delle brigate internazionali anti-franchiste. Queste conoscenze furono decisive per la loro formazione ideologica che, neanche a dirlo, non fu la stessa per tutte: alcune di loro appoggiarono fazioni completamente diverse, se non addirittura opposte. Unity, dapprima fascista come la sorella Diana e successivamente nazista convinta, visse per un periodo in Germania entrando nella schiera personale di Adolf Hitler; Jessica divenne, assieme al marito, un’ attivista del partito comunista,  e partecipò a numerose campagne per i diritti civili in difesa degli ultimi; Diana si dedicò alla propaganda fascista dando vita con il suo amante del periodo al B.U.F, il “British Union of Fascists”; Pamela aveva le sue convinzioni antisemitiche ma non lo manifestò mai pubblicamente, preferendo la tranquilla vita di campagna all’intraprendenza delle sorelle; Nancy e Deborah, rispettivamente la maggiore e la minore delle sei, si dedicarono ad altro, diventando l’una scrittrice, definitivamente ispirata dall’incontro con Evelyn Waugh, e l’altra imprenditrice, che ristrutturò e trasformò la dimora di campagna del marito in una grande fattoria, impiegando nei suoi progetti almeno un centinaio di persone. Insomma, un vero e proprio  caleidoscopio umano all’interno dello stesso nucleo familiare, in grado di accendere gli incolori salotti della buona società britannica  con una piccante dose di  sensualità, di  intraprendenza  e di scandalosa modernità. 

stylistcouk

Le fascinose sorelle Mitford, gli anni venti, una serie di delitti irrisolti: l’idea vincente di Jessica Fellowes è stata quella di mescolare insieme tutti questi ingredienti per realizzare un prodotto che potesse affiancarsi allo stile di Downtown Abbey, aggiungendo però, al tempo stesso, un tocco di originalità. La componente misteriosa, così come la scelta di agganciarsi a fatti reali delle cronache di allora, svecchiano un po’ le atmosfere compassate dell “upper class” e rendono la lettura più frizzante.  Ogni romanzo è ispirato ad una delle sorelle, in ordine cronologico: si parte da Nancy, protagonista de “L’assassinio di Florence Nightingale Shore”, per arrivare al secondo “Morte di un giovane di belle speranze“, incentrato su Pamela. L’ultimo, appena edito da Neri Pozza, è “Scandalo in casa Mitford“, dedicato a Diana, ed è l’unico dei tre che non ho ancora letto. In realtà  le protagoniste assolute non sono le Mitford,  le quali fungono più che altro da riferimento, bensì la loro cameriera  Louisa  Cannon, che incontriamo nel primo volume e che, insieme all’agente di polizia Guy Sullivan, saranno presenti in tutti i romanzi della serie, costituendone il vero “file rouge”. Assunta inizialmente ad Asthall Manor  come cameriera addetta alla nursery, riesce ad instaurare un buon rapporto con tutte e sei le ragazze, diventando  il loro chaperon e, soprattutto, la confidente dell’allora sedicenne Nancy.


I sei volumi non sono capitoli a sè stanti, ma parti di un racconto di più ampio respiro, in cui accanto all’evoluzione delle sei sorelle, che da ragazzine si trasformano poco alla volta in giovani donne con le proprie inclinazioni e le proprie peculiarità, scorre la storia di un intero paese, alle prese con cambiamenti epocali. Le tensioni interne sono al massimo, si stava profilando all’orizzonte una società del tutto nuova. Le distanze tra servitù e signorie si accorciano sempre di più ed i legami che nascono tra le mura domestiche, come l’amicizia tra Louisa Cannon e Nancy Mitford, rompono gli schemi e mettono in discussione la rigida divisione in classi dell’ aristocrazia. La voce delle donne emerge con forza sempre maggiore, spinte da nuove prospettive esistenziali e, conseguentemente, da nuove necessità e richieste di diritti.


Dopo la prima guerra mondiale infatti in Gran Bretagna emerse quello che la stampa di allora definì “Il problema delle donne in eccedenza”: oltre un milione e mezzo di uomini non tornarono dal fronte, o tornarono in gravissime condizioni. Per molte donne, educate fino ad allora ad avere come unico obiettivo  quello di sposarsi e mettere al mondo figli, tutto cambiò   e si ritrovarono improvvisamente, per la prima volta, padrone della propria vita. E’ Louisa Cannon, ancora una volta, a rappresentare al meglio questo primo timido soffio di libertà, al contempo spaventoso ed eccitante.

Il primo romanzo, basato sul vero omicidio di Florence Nightingale Shore, rimasto irrisolto, non mi è piaciuto tanto quanto il secondo. Le tematiche di fondo sono appena abbozzate ed il giallo legato al misterioso assassinio su cui Nancy e Louisa decidono di indagare non è sviluppato a dovere, rendendo il tutto piuttosto insipido. Tuttavia l’idea di base mi convinceva, per questo ho deciso che avrei  continuato a leggere la saga, e per fortuna non sono rimasta delusa. “Morte di un giovane di belle speranze” si collega alla storia di Alice Diamond e delle quaranta ladrone, una fuorilegge a capo di una banda di rapinatrici realmente esistite. Nancy è cresciuta, ed ora tocca a Pamela debuttare in società. Ma la sera del suo 18 esimo compleanno, ad Asthall Manor un giovane rampollo invitato alla festa viene trovato assassinato.

Louisa si ritroverà nuovamente coinvolta nelle indagini, aiutata dall’arguta e curiosa Nancy. Sullo sfondo troviamo una Londra in pieno fermento, in cui una nuova generazione deve inventarsi un differente modo di stare al mondo, con nuove regole, nuovi riferimenti: un girotondo di vite in cui le differenze sociali tra upper e working class stanno lentamente sbiadendo tra le pagine della storia.

I delitti Mitford – Jessica Fellowes (Neri Pozza)

dav

 

“Il mondo di Belle”, di Kathleen Grissom: storia di una schiavitù

 
La storia si sviluppa nell’ arco di circa quindici anni, tra il 1792 e il 1807, ed affonda le sue radici in una delle  grandi piantagioni di tabacco che all’ epoca prosperavano nelle ex colonie del nord america. La schiavitù faceva parte integrante dello stile di vita e della stratificazione sociale di tutti i paesi americani del tempo, era una realtà largamente diffusa ed accettata come un fatto naturale a cui era impossibile ribellarsi: i venti del cambiamento non soffiavano ancora, e nessuna idea di libertà era  in procinto di sbocciare. Le persone di colore, deportate dalle colonie africane, venivano sfruttate e fatte lavorare in terribili condizioni per far prosperare le immense piantagioni che davano ricchezza ai latifondisti; potevano essere oggetto di contrattazione al pari del bestiame e i loro padroni avevano diritto di vita e di morte su di loro. Esistevano leggi severe che impedivano i matrimoni tra bianchi e neri, e l’unica possibilità che aveva una persona di colore per poter vivere una vita dignitosa era ottenere l’affrancamento dal proprio padrone: inutile dire che erano eventi molto rari, dettati da circostanze uniche nel loro genere. Dunque è questo  il quadro storico e sociale in cui si collocano i personaggi della nostra storia, che daranno vita ad una saga familiare intensa e suggestiva. La scrittura in sè per sè non l’ho trovata niente di speciale, nel senso che l’autrice svolge bene il suo dovere ma non mi ha particolarmente colpita. L’elemento vincente è senza dubbio la storia narrata, interamente basata sulle vicende umane e sugli intricati legami affettivi che nascono all’ interno della piantagione di Tall Oak e che si sviluppano in un crescendo di drammaticità e colpi di scena. Le protagoniste principali sono due: Belle e Lavinia. Lavinia è una bambina sparuta  di soli sette anni quando si ritrova catapultata in Virginia nella piantagione del Capitano Pike, dopo una lunga traversata dall’ Irlanda di cui non ricorda nulla. I suoi genitori durante il viaggio contraggono alcuni debiti con il capitano Pike ma purtroppo muoiono entrambi prima che potessero ripagarlo: Lavinia diventa così oggetto di scambio ed il capitano se ne appropria  a titolo di risarcimento. Quando il capitano rientra alla piantagione da ordini alla servitù delle cucine di prendere sotto la loro ala protettrice la bambina, e la affida così a Belle. La cucina della casa padronale era un edificio distaccato da quello principale, perché all’ epoca capitava spesso che si verificassero incendi al loro interno e quindi per sicurezza venivano dislocate. Belle è la schiava mulatta che si occupa dei pasti della casa padronale, abile cuoca e grande lavoratrice, dotata di una bellezza intrigante e fuori dal comune. E’ la figlia illegittima del capitano, frutto dell’amore clandestino con una sua serva. L’uomo nutre un amore tenero e sincero nei confronti della ragazza  e riesce a nascondere malamente questo sentimento, instillando negli altri membri della famiglia il dubbio che Belle  fosse in realtà la sua amante. Questo è quello che pensa Martha, la sua giovane moglie, ed il primogenito Marshall, che da sempre nutre un odio profondo nei confronti della ragazza. Lavinia si lega a Belle in modo viscerale, e cominciano a considerarsi entrambe come madre e figlia.

Le pagine del libro sono un alternarsi tra i racconti di Lavinia, in cui domina la disarmante ingenuità della ragazzina, e quelli di Belle, sempre molto stringati, ridotti all’ essenziale ed estremamente lucidi. Lavinia vive con il disincanto del suo animo fanciullesco e pulito i rapporti affettivi che via via  instaura all’ interno della famiglia di schiavi che l’ha di fatto adottata, mentre Belle è consapevole della sua condizione disgraziata e nonostante sia la figlia del padrone è costretta a vivere come una schiava qualsiasi, senza diritti ed esposta a soprusi di ogni tipo.
 
Belle, per amore di Lavinia, tace alla bambina le brutture della casa padronale, i maltrattamenti che subiscono i lavoratori dei campi da parte del loro supervisore, un alcolizzato violento, e la paura costante che avevano le donne di essere abusate. La condizione delle donne schiave era forse ancora peggiore di quella degli uomini, perchè oltre alle frustate del guardiano subivano spesso anche violenza sessuale, diventando giumente da monta per i signorotti bianchi. Spesso in seguito a queste unioni selvatiche venivano concepiti bambini di sangue misto, ma per le donne della piantagione non faceva nessuna differenza. Ogni bambino che nasceva a Tall Oak veniva ugualmente amato, nutrito ed accudito a prescindere dai legami di sangue. E’ questo ciò che Mamma Mae insegna a Lavinia, che non è importante il colore di un bambino, perchè l’unica cosa che conta è l’amore che ha diritto di ricevere. Mamma Mae è uno dei personaggi che più mi ha conquistata, perché nonostante l’ignoranza e la povertà in cui è costretta a vivere porta in sè una straordinaria saggezza, derivata dalla fede in Dio e dalle lezioni che la vita le ha impartito. Ma, più di qualsiasi cosa, mi ha colpita la sua dignità, che nessuno riesce a scalfire, ed il suo coraggio di mamma generosa, la mamma di tutti i bambini della piantagione che ha sfamato e vestito. Mamma Mae, papà George, Ben, le gemelle Fanny e Beatty, Dory, e poi naturalmente Belle: sono loro la  famiglia di Lavinia, persone che si amano nonostante le differenze e che si sostengono l’un l’altro nel momento del bisogno. Poco altro importa, a Lavinia come a tutti loro.
Purtroppo gli avvenimenti che si susseguono quando Lavinia da bambina si trasforma in una giovane ed affascinante ragazza sono tragici, una catena funesta che sembra non spezzarsi mai. I tempi dopo la morte del capitano Pike sono radicalmente cambiati, il figlio Marshall assume il controllo delle proprietà portando con sè un’ombra nera di odio che si sparge in tutta la piantagione, con conseguenze devastanti. Non solo la famiglia di colore di Belle subirà le conseguenze di questo cambiamento, ma la stessa discendenza Pike giungerà al capolinea. Nonostante questi picchi drammatici la storia non perde niente della sua bellezza originaria, anzi se possibile ne trae beneficio. I momenti di gioia e di condivisione, di amore e di fratellanza diventano ancora più intensi e commoventi, facendoci allargare il cuore. Alla fine di questa appassionante saga si intravede un barlume di speranza e di pace, quella speranza che anche nelle situazioni più buie persone splendide come Mamma Mae e papà George hanno sempre tenuto acceso, accogliendo tutti tra le loro grandi braccia.
 
Colore di bambino, padre, madre, niente importa. Noi siamo famiglia, ciascuno di noi bada agli altri. Famiglia ci rende più forti in momenti difficili. Siamo uniti, aiutiamo. Questo è significato di famiglia. Quando tu cresci, porti questo dentro di te.
Un romanzo storico davvero buono si riconosce quando, leggendo, non abbiamo più la percezione della finzione narrativa. E’ un artificio che qualche volta non riesce, ma Kathleen Grissom è stata molto brava in questo e si intuisce  chiaramente quanta preparazione e quanto studio ci sia stato  dietro l’imbastitura di questa storia di donne straordinarie, che difficilmente dimenticherò.