“L’eleganza del riccio”, di Muriel Burbery: un sempre nel mai

La mia opinione su questo  romanzo è cambiata almeno tre volte nel corso della lettura. Mi ha continuamente sorpreso, suscitando un turbinìo di sensazioni ogni volta diverse. Sono partita con grandi aspettative perché ha avuto uno straordinario successo al suo esordio, avvenuto nel 2006, e da quel giorno la sua fama è cresciuta senza sosta. Con un certo dispiacere quindi mi ero quasi convinta ad abbandonarlo, cosa che detesto fare e che riservo solamente ai libri che mi procurano più fastidio che gioia. Il motivo è presto detto: la prima parte è tanto, troppo infarcita di filosofia, e chi come me non ha mai avuto un buon rapporto con la materia è facile che trovi i pensieri riportati un po’ ostici e faticosamente assimilabili.

Le protagoniste del romanzo sono due donne, una appena dodicenne e l’altra nel pieno della sua maturità. Sono estremamente diverse tra loro, non solo per un fattore anagrafico ma anche e soprattutto per la loro estrazione sociale e per il ruolo che loro malgrado rivestono nella comunità. Paloma è una ragazzina molto matura per la sua età, che abita con la famiglia in un lussuoso palazzo della “Parigi bene”; Renée invece è la portinaia. Nonostante la palese diversità, esiste qualcosa di insospettabile che accomuna le due donne: sono entrambe dotate di una spiccata intelligenza, molto superiore alla media, e possiedono una profonda cultura che per motivi diversi si ostinano a nascondere al prossimo. Paloma ha un rapporto difficile con la propria famiglia. La osserva con gli occhi di un’aliena, assolutamente incapace di adattarsi alla loro mediocrità: il padre è un parlamentare perennemente assente, la madre è superficiale e schiava di antidepressivi e sonniferi, mentre la sorella maggiore, Colombe, è una studentessa di filosofia della Sorbona che di intellettuale ha solo il titolo. E’ proprio lei quella che Paloma maggiormente disprezza, perché non riesce ad accettare il suo vuoto interiore e trova assurdo che una materia tanto nobile come la filosofia sia utilizzata da Colombe sono per darsi un tono, senza capirne l’immenso valore. Paloma cerca di nascondersi ai loro occhi e si sforza di apparire un’adolescente come le altre, infarcita di sottocultura come la maggior parte dei suoi coetanei. Abbassa il suo rendimento scolastico, legge fumetti a tavola e sostanzialmente non interagisce mai con i familiari, i quali non sospettano minimamente la verità. E’ convinta che la sua straordinarietà, se costretta a doverla condividere con i suoi familiari, le farebbe vivere un vero e proprio incubo. Paloma purtroppo pensa che la sua famiglia non sia altro che lo specchio della società in cui è costretta a vivere: sono gli esponenti a lei più prossimi, ma in generale non nutre una grande fiducia nell’ essere umano. Condannata dalla sua profonda ed acuta sensibilità ad isolarsi dal marciume di cui è circondata, prende una decisione lucida e cruda, con la quale si apre il romanzo. Prima di portare a compimento la sua opera decide però di scrivere un diario in cui annotare i suoi pensieri, le sue riflessioni più profonde riguardo l’animo umano e riguardo le cose tangibili, appartenenti al corpo, che sono in grado di instillare in lei la percezione della bellezza. E’ l’ultimo tentativo che è disposta a compiere per capire se dopo tutto la vita ha un senso che ancora le sfugge, qualcosa che la allontani da tutta quella mediocrità.

Al piano terra del lussuoso palazzo abita invece la portinaia Renée, altra anima solitaria e custode di un tesoro prezioso, costruito con anni di silenzioso apprendistato. Renée è vedova da diversi anni, ma nonostante una vita umile fatta di onesto lavoro e privazioni non ha mai vissuto la sua condizione piangendosi addosso, affliggendosi per il suo magro destino. Al contrario, ha fatto di tutto questo il suo scrigno. Ha cullato la sua solitudine arricchendola di conoscenza, imparando da autodidatta tutto quello che di meraviglioso ha creato l’uomo attraverso i secoli: filosofia, arte, letteratura, musica, cinema. Figlia di contadini della campagna francese, Renée ha dovuto abbandonare presto gli studi per affrancarsi dalla famiglia, nonostante avesse ricevuto in dono un’intelligenza fuori dal comune. Questa sua predisposizione per lo studio, unita ad un amore per l’arte in tutte le sue forme, l’hanno portata nel corso degli anni a costruirsi una solida ed ampia cultura, che si è sempre preoccupata di nascondere al prossimo. Anche per Renée infatti la superiorità del suo intelletto è vista come un qualcosa da proteggere, che se svelata porterebbe soltanto problemi. Un pensiero distorto che affonda le sue radici in un dolore antico, che ci verrà rivelato soltanto alla fine del romanzo. Renée cerca di impersonare fino in fondo il ruolo della portinaia, adattando persino il suo aspetto all’ immaginario collettivo: si trascura, è sciatta, veste male e non va dal parrucchiere da anni. Nascosta sotto uno strato di vecchi indumenti e celata dietro uno sguardo allenato a mantenersi inespressivo, la sua anima si nutre di quella bellezza che Paloma non sa più trovare. Per Renée tutto è bellezza, perché la sua anima ne è intrisa.

Madame Michel ha l’eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti.

Il romanzo è un alternarsi tra i diari di Paloma e i pensieri di Renée, che nella prima parte mi hanno quasi mandato fuori strada. Come dicevo all’ inizio ero sul punto di mollare, perché ho trovato quel continuo filosofeggiare di Renée eccessivo e senza uno scopo narrativo. Mi sembrava di girare in tondo, persa nei ragionamenti complicati che la portinaia esterna anche quando compie i gesti più semplici. Ogni considerazione, anche la più banale, è ridondante di pensiero filosofico. Ho pensato che se il libro era davvero un continuo rimbalzare tra il rimuginare di Paloma e il filosofeggiare spinto di Renée, non ce l’avrei fatta a proseguire e mi sarei arenata su una pagina a caso. Poi improvvisamente tutto cambia ed acquista un senso, cambia il ritmo del romanzo e cambia anche la mia opinione sulla faccenda. Nella vita delle due donne irrompe un ricco signore giapponese, Monsieur Ozu, nuovo inquilino del lussuoso palazzo. E’ colto, affascinante, e come Renée ha una passione per Anna Karenina. E’ proprio una citazione del romanzo, buttata lì per caso da Monsieur Ozu, ad innescare la miccia del cambiamento: sentendo quella frase così nota Renée ha un lieve sussulto, che le illumina gli occhi. Nessun condomino se ne sarebbe mai accorto, tranne Monsieur Ozu. Lui è diverso, perché sa guardare oltre le apparenze e perché i preconcetti non fanno parte della sua natura. Ha riconosciuto in Renée una persona a lui affine, e per questo desidera approfondire la sua conoscenza: la inviterà a pranzo nel suo appartamento, e poi ad un tè pomeridiano per godersi insieme uno di quei film giapponesi che Renée ama tanto. E’ proprio vero che quando si innesca la miccia del cambiamento gli avvenimenti cominciano a susseguirsi con una rapidità sconcertante, come se il tempo prima fosse stato immobile, congelato nelle vecchie abitudini. Dopo aver fatto amicizia con Monsieur Ozu Renée farà la conoscenza anche di Paloma, che riconoscerà come spirito affine: due anime solitarie costrette a nascondere la loro cultura al mondo, paradossi viventi in una società in cui l’apparenza conta molto di più della sostanza.

Stasera, ripensandoci, con il cuore e lo stomaco in subbuglio, mi dico che forse in fondo la vita umana è così: molta disperazione, ma con qualche istante di bellezza dove il tempo non è più lo stesso. È come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale, una sospensione, un altrove in questo luogo, un sempre nel mai.
Sì, è proprio così, un sempre nel mai.”

Il romanzo si conclude in modo inaspettato, almeno per quanto riguarda Reneè, che ho finalmente imparato ad amare e a comprendere nella sua stravaganza e nel suo chiudersi al mondo. Per quanto riguarda Paloma invece ho tirato un sospiro di sollievo: quello che cercava, quello su cui ha provato a riflettere per mesi attraverso le pagine del suo diario, l’ha trovato infine nella guardiola di una portinaia sciatta ed invisibile agli occhi dei ricchi condomini. In lei ha trovato l’autentica bellezza, quella che non arriva dagli abiti assurdamente costosi di sua madre o dai lineamenti perfetti di sua sorella, ma quella che arriva dall’ amore e dal rispetto per la vita.


L’esistenza di tutti è pregna di dolore e sofferenza, ma se nel pieno delle nostre tragedie siamo in grado di scorgere anche un solo istante di pura bellezza, allora forse saremo padroni del vero significato della vita. Quell’ istante diventerà eterno: un sempre nel mai.


L’eleganza del riccio – Muriel Babery (Edizoni E/O)

3 pensieri riguardo ““L’eleganza del riccio”, di Muriel Burbery: un sempre nel mai”

  1. Anch’io non amo molto i bestsellers di cui tanto ci parlano in tv per promuovere le vendite. Il libro mi deve parlare e deve avere un solido autore… Questo me lo regalarono. E devo dire che mi appassionai nella lettura, perchè mi faceva entrare nella storia lentamente. E questo mi piace moltissimo. Mi piace essere presa per mano e condotta attraverso giuste parole nel cuore del libro. Mi piacque tutto e nella mente i personaggi presero una forma decisa. Manco a dirlo , quando giunsi alla fine del romanzo, piansi. Perchè male accetto che sulla carta stampata le storie vadano a finire male.

    Già ci pensa la vita a scompaginare la vita con imprevisti terribili…almeno quando uno scrive potrebbe lavorare di fantasia e risolvere al meglio ogni brutto imprevisto.

    Ma anche questa è una mia assurda pretesa e ti autorizzo, cara Paola a ridere di me ;(

    Il film non mi è piaciuto molto, anche se la trama è fedelissima al libro. La colpa al solito è mia. Mi ero fatta un’immagine precisa dei protagonisti che non ho ben riconosciuto nel film.

    Sono una lettrice particolare che si innamora dei protagonisti dei libri che leggo. E guai a chi me li tocca o sciupa…

    Ciao Paola, hai scritto una recensione eccellente. E’ un piacere degli occhi leggerti. 🙂

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  2. Ciao Vitty, in effetti è proprio così: dei libri, delle loro storie, dei personaggi ci si può letteralmente innamorare. Ma questa è solo una prerogativa degli autori più bravi. Il film non l’ho visto, ma sono bastate le foto che ho trovato su internet a farmi capire che NO, io non immaginavo così nè Paloma nè Muriel…cosa vuoi, che il libro sia sempre meglio del film è un dictat, e questa non corrispondenza dei personaggi con la nostra immaginazione è uno dei motivi principali per cui va sempre a finire così!

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