Libri in pillole: “L’arte di ascoltare i battiti del cuore”, di Jan -Philipp Sendker

Questo libro non è solo una bellissima storia da leggere: è decisamente terapeutico. E’ una medicina per l’anima di cui non sapevamo di avere bisogno, un piccolo rifugio in cui riposarci dall’iperattività delle nostre vite in cui a volte, purtroppo, sembriamo criceti che corrono all’impazzata dentro una stupida ruota che gira a vuoto. Ero incuriosita da questo romanzo ma al tempo stesso gli sono stata per molto tempo alla larga, soprattutto a causa del titolo: avevo infatti la sensazione che fosse una banale storia d’amore, ed io non amo le storie d’amore fine a se stesse, anzi potrei quasi affermare che non le sopporto proprio. Non leggo i romance, la parola “amore” sulla carta stampata mi fa scappare a gambe levate. Il consiglio di un’amica però mi ha convinta ad acquistarlo, e non le sarò mai grata abbastanza per avermi regalato una delle letture più intense e affascinanti che abbia mai fatto.

La protagonista della nostra storia è Julia Win, una giovane donna newyorkese che ad un certo punto della sua vita si ritrova catapultata in una piccola casa da tè di Kalaw, tra le montagne della Birmania, sulle tracce del padre improvvisamente scomparso. Tin Win, questo il nome di suo padre, da ragazzo si trasferì dalla Birmania in America per motivi di studio e da quel momento in poi visse stabilmente a New York, diventando cittadino americano e, successivamente, un avvocato di successo della grande mela. Una vita apparentemente ineccepibile, limpida. Ma ora Tin Win è scomparso, e le sue ultime tracce si perdono a Bangkok, in Thailandia, facendo supporre alla famiglia che l’uomo avesse in realtà una doppia vita fatta di vizi ed eccessi…ma un giorno la madre di Julia, mentre riordina la soffitta, trova una lettera del marito indirizzata a una certa Mi Mi, a Kalaw, in Birmania. “Mia amata Mi Mi, sono passati cinquemilaottocentosessantaquattro giorni da quando ho sentito battere il tuo cuore per l’ultima volta”. La scoperta di questa lettera porterà Julia Win a compiere un viaggio indietro nel tempo, alla ricerca di suo padre e delle sue origini, e da quel momento in poi si dipanerà tra le pagine una storia emozionante, che intreccia alla perfezione la realtà con la magia dell’impossibile. La filosofia buddhista da un’impronta speciale al romanzo regalando a questa storia d’amore una purezza a noi sconosciuta , che fa commuovere senza mai scivolare nel patetico.
L’autore ha la capacità di entrare nell’anima di chi legge con delicatezza e innocenza, risvegliando emozioni, ricordi, e tutto ciò che di buono inconsapevolmente custodiamo dentro di noi. E’ inevitabile quindi lasciarsi trasportare dalle sue parole: sembra che ci voglia prendere per mano per condurci nel cuore della magica Birmania e di noi stessi, alla scoperta di una spiritualità che troppo spesso noi occidentali trascuriamo, così persi nella frenesia del quotidiano da non riuscire mai ad entrare in contatto con la nostra dimensione più intima e vera.


L’amore ha tante forme differenti, tanti volti, che la nostra fantasia non basterebbe a immaginarli tutti. La difficoltà sta nel riconoscerlo quando ce l’abbiamo davanti”.
“E perché poi dovrebbe essere così difficile?”
“Perché vediamo solamente quello che conosciamo. Siamo convinti che gli altri siano capaci di fare solamente ciò che sappiamo fare anche noi, nel bene e nel male. Per questo riconosciamo come amore solo quello che corrisponde all’immagine che ne abbiamo. Vogliamo essere amati come amiamo noi. Ogni altro modo ci è estraneo, lo guardiamo con dubbio e sfiducia, ne fraintendiamo i segni, non capiamo la sua lingua. Accusiamo. Affermiamo che l’altro non ci ama. E invece forse ci ama in un modo tutto suo, che noi non conosciamo.”

“Memorie di una Geisha”, di Arthur Golden: l’arte e la seduzione nel Giappone del ‘900

Per molto tempo ho desiderato leggere questo romanzo, incuriosita sia dalla particolarità dell’argomento trattato sia dai commenti entusiastici che lo hanno accompagnato da quando è stato pubblicato: ne sono rimasta totalmente affascinata. Arthur Golden attraverso la straordinaria vita di Sayuri svela a noi occidentali il mondo delle Geishe in tutta la sua straziante bellezza, una realtà troppo distante dalla nostra cultura per essere compresa appieno, eppure così ammaliante da lasciare senza fiato. Con il suo stile intimo e raffinato l’autore ci conduce fin dalle prime pagine in un mondo così lontano nello spazio e nel tempo da sembrare quasi una favola, nonostante la brutalità degli eventi che scandiscono la vita della protagonista. Tutto il romanzo è costantemente pervaso da un’ aura di magia che stempera con delicatezza ogni dolore, regalandoci un’ esperienza di lettura indimenticabile.

Quando facciamo la sua conoscenza Sayuri (allora Chiyo) è una bambina di appena nove anni che vive con la sorella maggiore e i genitori in un piccolo villaggio di pescatori; quando la madre, gravemente malata, muore lasciando la famiglia nell’ indigenza più assoluta, il padre decide di vendere le bambine ad un trafficante di prostitute. Giunte dinanzi alla vecchia tenutaria di un bordello, nel quartiere a luci rosse di Kyoto, le due sorelle vengono divise. Sayuri, decisamente più attraente della sorella già assegnata ad un comune postribolo, viene ritenuta adatta per essere affidata alla “Casa delle geishe” ed iniziare così un percorso differente, in cui il piacere non era brutalizzato e soprattutto non era un obbligo. Nel quartiere di Gion l’intrattenimento sessuale sfumava in una più raffinata compagnia che veniva offerta agli uomini, improntata sull’ espressione artistica e sulla conversazione. All’inizio, in cambio di vitto e alloggio, lavora come domestica, ma dopo i primi durissimi anni inizierà a frequentare una scuola in cui imparerà l’arte della danza, della musica e di tutto ciò che si poteva offrire all’universo maschile. Sayuri però ha un’ arma in più rispetto alle altre ragazze della casa, che la faranno emergere da quel contesto pieno di invidie, cattiverie e solitudine estrema: il colore degli occhi, un azzurro fuori dal comune dal quale gli uomini orientali sono attratti irresistibilmente, ed una grazia innata che aveva solo bisogno di affinarsi per sbocciare.

Essere una Geisha era molto di più di una raffinata compagnia, di un elaborato Kimono di seta o di un viso di porcellana perfettamente truccato: dietro quell’apparenza quasi divina c’erano anni di sacrifici estremi, di lacrime, di silenzi, di obbedienza, di privazioni sentimentali di qualsiasi genere. Sayuri proverà più volte a sfuggire al suo destino, fino a quando non comprende che per ottenere ciò che più desidera al mondo è necessario assecondare quella vita: una scelta sofferta da cui non farà più ritorno e che, grazie alla forza di volontà e alla dura disciplina, la porterà a diventare la geisha più famosa e desiderata del Giappone. ”Non diventiamo geishe perché desideriamo una vita felice, ma perché non abbiamo altra scelta”. Questo fu il primo e il più importante insegnamento che la grande Geisha Mamhea impartì ad una Sayuri ancora bambina, rivelando in una sola frase l’essenza del loro mondo. Un romanzo avvincente e toccante, un’ intenso ed impietoso ritratto della cultura giapponese del novecento che, dopo l’avvento della seconda guerra mondiale, non sopravviverà alle incursioni del mondo occidentale, sgretolandosi per sempre.

Lei si dipinge il viso per nasconder il viso. I suoi occhi sono acqua profonda. Non è per una geisha desiderare. Non è per una geisha provare sentimenti. La geisha è un’artista del mondo, che fluttua, danza, canta, vi intrattiene. Tutto quello che volete. Il resto è ombra. Il resto è silenzio.

TE LO CONSIGLIO SE:

✔️Ti affascina la cultura orientale

✔️ Ami i romanzi storici

✔️Desideri compiere un viaggio indimenticabile

Libri in pillole: Kafka sulla spiaggia di Haruki Murakami

Murakami è un autore che non lascia spazio a mezze misure: o si ama incondizionatamente, o si odia. Non esistono romanzi che possono piacere con riserva, o lasciare indifferenti. Io appartengo alla prima categoria, quindi per me leggere un suo libro è come compiere ogni volta un viaggio affascinante che mi sorprende continuamente. Non ci sono trame lineari ma percorsi contorti, onirici, spesso di difficile comprensione. In questo viaggio (definirlo romanzo è fuori luogo) i protagonisti sono due: un ragazzino troppo maturo per la sua età in fuga da tutto ed un vecchio con poteri paranormali che parla con i gatti. E non pensate che andando avanti con la lettura l’autore vi spiegherà, ad esempio, perché il signore parla con i felini. E’ così e basta, prendere o lasciare. Una spiegazione razionale a determinati accadimenti farebbe perdere molto fascino al racconto, anche perché francamente sarebbe impossibile riuscire a trovare un senso logico. E una spiegazione irrazionale lo renderebbe ridicolo e lo ridurrebbe al livello di un romanzetto di fantascienza. Per cui il lettore fa il suo dovere: legge, prova gusto nel farlo, e non gli importa del resto.

Basterebbero questi pochi dettagli per dare a Murakami del matto. E invece, lui ci prende per mano e ci conduce un poco alla volta nella storia, ci fa abbandonare le nostre reticenze ed ecco che improvvisamente pare tutto normalissimo, sembra che tutto abbia un senso e un motivo di essere. La cosa che più mi colpisce di Murakami è che, una volta terminato il libro, qualsiasi suo libro, rimugino per giorni domandandomi quale sia la visione d’insieme, il messaggio intrinseco, se tutte queste cose esistono oppure no, oppure è solo stato un intreccio ordinario di storie straordinarie. Geniale.


Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infine volte, come una danza sinistra col dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. E’ qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia. Attraversarlo, un passo dopo l’altro. Non troverai sole né luna, nessuna direzione, e forse nemmeno il tempo. Soltanto una sabbia bianca, finissima, come fatta di ossa polverizzate, che danza in alto nel cielo. Devi immaginare questa tempesta di sabbia. E naturalmente dovrai attraversarla, quella violenta tempesta di sabbia. E’ una tempesta metafisica e simbolica. Ma per quanto metafisica e simbolica, lacera la carne come mille rasoi. Molte persone verseranno il loro sangue, e anche tu forse verserai il tuo. Sangue caldo e rosso. Che ti macchierà le mani. E’ il tuo sangue, e anche sangue di altri.
Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato. Sì, questo è il significato di quella tempesta di sabbia

TE LO CONSIGLIO SE:
  1. Ami il Giappone e la sua filosofia
  2. Un tocco di sovrannaturale ti affascina
  3. Preferisci l’emozione alla narrazione

Libri in pillole: “La banda dei brocchi” di Jonathan Coe

La BANDA DEI BROCCHI è un romanzo in cui Coe ci racconta, con abile distacco e a volte con ironia e leggerezza, la storia dell’Inghilterra degli anni 70 attraverso le vicende di un gruppo di adolescenti. Coe è bravissimo nel mantenersi soltanto un semplice narratore degli eventi socio politici di quegli anni: per tutto il romanzo non si farà mai trascinare dalla polemica, dalla passione politica, da accuse e giudizi. Non tenta di capire la storia, semplicemente la osserva e ce la racconta attraverso la quotidianità di persone comuni. Il libro si apre con l’incontro nella Berlino dei giorni nostri tra i figli di due dei protagonisti, e da quel momento in poi tutto il romanzo si snoderà come un flash back scaturito proprio dal racconto di uno di quegli ex adolescenti. Lo spaccato dell’Inghilterra pre-Thatcheriana che Coe ci offre è talmente reale che sembra di vivere sulla propria pelle quel decennio pieno di fermenti su ogni fronte: le lotte sindacali al limite della rivolta, il terrorismo dell’IRA, la nascita della musica punk…Fantastica ed “epocale” è proprio la colonna sonora che accompagna tutto il romanzo: Clash, Sex Pistols, Black Sabbath….Anche  il titolo del originale del libro, The Rotters’ Club, è lo stesso di un disco dell’epoca degli Hatfield and the North, gruppo citato nel libro.
La crescita adolescenziale dei ragazzi protagonisti si intreccia inevitabilmente con le vicende delle loro famiglie, dove troviamo solo adulti in perenne crisi, intrappolati nei loro matrimoni sciovinisti e  nelle loro guerre ai padroni. In questo mare in tempesta cercano di barcamenarsi, con difficoltà, paura e stupore, i quattro amici: poco alla volta vediamo Benjamin e gli altri “brocchi” uscire dal loro guscio di sogni per affrontare la vita vera, attraverso esperienze forti, a volte drammatiche come la morte violenta e incomprensibile, a volte più dolci come la scoperta dell’amore e del sesso.
Un romanzo che forse a tratti può sembrare troppo superficiale ma che invece, a mio avviso, è da apprezzare proprio per questo sua particolarità di narrare le vicende offrendo solo spunti per più profonde riflessioni da cui l’autore volutamente si sottrae, lasciandone al lettore il compito. Da molti è giudicato come uno dei romanzi minori di Coe, ma a me è piaciuto davvero molto e spero con queste poche righe di restituirgli, almeno nella mia libreria, il posto che merita.

Buona lettura!

Libri in pillole: “Il giardino delle bestie” di Erik Larson

“Il giardino delle bestie” è un riuscitissimo amalgama tra cronaca e romanzo storico, anche se non ha la pesantezza e la freddezza di questi generi. Il protagonista, William Dodd, è infatti realmente esistito e Larson racconta la sua esperienza di ambasciatore americano nella culla del terzo Reich. Tutto si svolge nell’anno 1934, periodo cruciale che cambiò per sempre il volto di Berlino e della Germania intera: è questo l’anno della rivoluzione dei giovani nazisti e dell’ascesa al potere di Hitler. L’originalità del romanzo è il punto di vista con cui questo enorme cambiamento viene raccontato, che è quello di uno uomo politico straniero che con la sua famiglia si trasferisce in Germania per intraprendere la carriera diplomatica. Dodds Arriva a Berlino con l’entusiasmo di chi, come lui, conobbe la Germania agli albori del 1900, quando studiò a Lipsia e tutto era un brulicare di vita, di cultura, di benessere: ben presto però si rende conto di quanto il suo ricordo fosse fuorviante e non più aderente ad una realtà profondamente trasformata. Dodds era un intellettuale del partito democratico, sostenitore di Franklin D. Roosevelt eletto alla Casa Bianca nel novembre 1932; era indubbiamente attratto dalla vita pubblica ma non possedeva le finezze di una mente politica, e l’unico motivo per il quale fu scelto da Roosevelt per rivestire l’importante ruolo diplomatico era la sua familiarità con il mondo tedesco, seppur limitata al solo aspetto accademico. Il neo ambasciatore era un uomo integerrimo distante anni luce dai giochi di potere della politica, fermamente convinto che il suo dovere più importante fosse portare come esempio i suoi principi egualitari e l’ideale jeffersoniano di democrazia liberale. A causa di questa sua impostazione, più da docente (qual in effetti era) che da scaltro rappresentante USA in terra straniera, ben presto verrà giudicato un inetto dai suoi connazionali e diventerà una facile pedina degli uomini di Hitler. Pagina dopo pagina, giorno dopo giorno vedremo lui e la sua famiglia scivolare in un terribile incubo da cui ne usciranno tutti irrimediabilmente distrutti. Dodds con la sua ingenuità e la figlia Martha con la sua spudoratezza sentimentale vivono a loro modo l’ orrida ascesa nazista, di cui si renderanno pienamente conto solo alla fine, quando saranno costretti a spalancare increduli gli occhi di fronte al primo tremendo atto di follia: la Grande Purga compiuta da Hitler contro i presunti oppositori del regime, il 30 giugno del 1934, passata alla storia come “la notte dei lunghi coltelli”.

Libri in pillole: “Academy Street”, di Mary Costello

E’ un romanzo con pochissima azione: in meno di 200 pagine l’autrice racconta tutta la vita di una donna irlandese, Tess. I sentimenti della protagonista, più che gli accadimenti in sè, costituiscono il fulcro di una narrazione in cui le vicende vengono raccontate in modo molto raccolto ed intimo, come in un diario personale. Quella che ci viene offerta è una visione sempre introspettiva dell’esperienza di Tess che però, a dispetto della malinconia di fondo di cui è costantemente pervasa, non cede mai il passo alle banalità da melò e questo renderà la nostra lettura piacevole, per nulla opprimente. Tess è una donna molto sfortunata, che vive la sua esistenza come se fosse sospesa dalla realtà, in perenne attesa che accada qualcosa per cui essere felice: ma questo momento non arriverà mai. Ciò che di bello la vita le ha regalato lo riconoscerà soltanto molto dopo, quando ormai tutto è passato e svanito nell’ombra dei ricordi. Il problema di Tess è proprio questo, non riesce a percepire la felicità quando le è vicina, perché la continua a cercare altrove. E’ un’ anti eroina che subisce passivamente tutte le esperienze negative, come se sentisse di meritarsi il peggio e per questo inevitabilmente lo attraesse, come se sopportasse tutto solo perché spera sempre in un “DOPO”. Non è irritante, anzi, è molto umana in questo. A chi non sono mai capitati momenti così, in cui abbiamo solo la forza necessaria di arrenderci al presente, senza lottare per cambiare la nostra vita? Viene naturale ed istintivo immedesimarsi nelle sue debolezze e fragilità, per questo non si riesce né a condannarla né a compatirla, ma solo a perdonarla. A volte, mentre si abbandona alla tristezza, verrebbe voglia di strattonarla urlandole di reagire, di darsi una mossa, di andarsi a prendere quello che vuole…. ma poi si finisce con il darle una pacca sulla spalla e ad accettarla così com’è. Una donna sola, sfortunata e malinconica, che vive di libri e di ricordi e nel mentre inesorabilmente invecchia. Sembrerebbe quasi un libro da evitare, e invece no. Perché l’autrice è talmente brava che riesce a non rendere mai patetiche le emozioni di Tess, ma le arricchisce di un’intensa umanità che non ci permette mai di compatirla. Ma soprattutto perché anche le voci dei perdenti meritano di essere ascoltate , quelle degli sconfitti in partenza, di chi non lotta perché sa già che andrà a finire male. Quelli che aspettano le disgrazie come eventi a cui non possono sottrarsi, e nel mentre si dimenticano di vivere.

La vera storia del pirata Long John Silver, di Eric Larsson: “quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del morto!”

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Quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del morto, yo-ho-ho e una bottiglia di rum!

Chi non si ricorda di questa canzoncina alzi la mano!

Nella finzione narrativa di Larsson è lo stesso Long John Silver, il temibile pirata con una gamba sola de “l’Isola del Tesoro” (R. Louis Stevenson, 1883) a scrivere in prima persona le sue memorie durante i suoi ultimi giorni di vita. E’ il 1792 e Silver è un uomo ormai vecchio che da tempo vive ritirato sulle coste del Madagascar. Stevenson alla fine del suo romanzo lo fece letteralmente svanire nel nulla: durante la traversata di ritorno in direzione dell’Inghilterra riesce a fuggire con una parte del tesoro dall’Hispaniola, a bordo di un canotto,  per paura di essere arrestato e fatto impiccare una volta rientrato in patria. Larsson si aggancia a questo finale aperto per imbastire una storia mozzafiato che è al contempo memoria e avventura, che racconta il mondo dei pirati spogliandolo da quella patina di fascinazione sempre presente nell’immaginario collettivo. Silver racconta senza fare sconti a nessuno, nemmeno a se stesso, le efferatezze compiute e le ingiustizie contro le quali la gente come lui combatteva, ligia soltanto al proprio codice morale, denunciando al tempo stesso anche tutte le nefandezze che facevano capo al commercio ufficiale: il contrabbando, la tratta degli schiavi, gli accordi sottobanco con i governi, le condizioni atroci in cui versavano gli equipaggi e il nonnismo dei capitani. Per tutti questi motivi lo possiamo certamente considerare anche un romanzo storico di ottima fattura, che offre una ricostruzione precisa e avvincente di quello che fu il periodo coloniale in Europa.

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Sono rimasta incantata dalla bravura di Larsson, che riesce a calarsi perfettamente nei panni del pirata cattivo rielaborandone il personaggio, o meglio, arricchendo le sfumature della sua complessa personalità pur mantenendo intatto quello che lo ha reso un antieroe sui generis: la sua sofisticata ambiguità, che da ragazzi spesso ci ha fatto patteggiare per lui . Dai, confessiamolo: a chi non stava simpatico, in fondo, Long John Silver? L’introspezione psicologica che nel romanzo di Stevenson era appena accennata qui viene eviscerata e mostrata fin dalle sue origini e ne seguiamo l’evoluzione fino all’ultimo, intenso capitolo, che mette la parola fine alla sua incredibile esistenza. Larsson raffigura il pirata come l’emblema della libertà assoluta, fisica e mentale, perché il solo significato che per lui ha la vita è l’attaccamento alla vita stessa e l’intenso desiderio di godere di ogni giorno come se fosse l’ultimo, guidato da un senso di giustizia esclusivo ed una morale propria che nulla hanno a che vedere con le leggi degli uomini, frutto della loro natura maligna e fatte per essere raggirate.

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Alcune volte, lo ammetto, l’autore si incaglia un po’ nelle descrizioni e nei lirismi, e in quelle pagine spesso mi sono arenata esattamente come farebbe un vascello pirata sulla spiaggia dei Caraibi…ma poi ho capito che dovevo godermi la sosta e basta. Perché Larsson cambia registro dall’avventura alla poesia con una rapidità che spiazza, pertanto anche i ritmi di lettura inevitabilmente seguono questa altalena stilistica. L’abilità con cui l’autore trasforma Long John Silver da anti eroe fanciullesco per eccellenza ad eroe per chi ragazzo non lo è più da un po’ è davvero sorprendente: non possiamo che restare ammirati di fronte all’ironia filosofica con cui il pirata affronta le disgrazie della vita, e da quel suo piglio indomito e fiero che non gli consente di scendere mai a patti con il buonsenso.

Perché peggio di finire sulla forca c’è solo vivere come se si fosse già morti a un pezzo.

Che io sia dannata, se non è così!

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TE LO CONSIGLIO SE:

  • Subisci il fascino dei personaggi ambigui;
  • Non vuoi dimenticarti del tuo bambino interiore;
  • Non hai mai letto “L’Isola del Tesoro” : cosa aspetti a conoscere Long John Silver?

“Le ragazze della libreria Bloomsbury “di Natalie Jenner : un tuffo nella Londra post bellica

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Natalie Jenner, dopo lo straordinario successo del suo romanzo d’esordio “Jane Austen Society”, pubblicato nel 2020, ci catapulta nuovamente nelle atmosfere inglesi dell’immediato dopo guerra raccontando attraverso il microcosmo della libreria Bloomsbury la storia delle commesse che qui lavorano: Vivien, Grace e Evie. Le tre donne sono molto diverse tra loro per carattere e background familiare, eppure le accomuna  una quotidianità molto simile: tutte tre devono lottare ogni giorno contro il radicato maschilismo che detta le regole non solo all’interno della libreria, gestita da un direttore vecchio stile imperturbabile al cambiamento, ma in ogni ambito della loro vita privata. Vivien ha perso il futuro marito in guerra e sogna di diventare una scrittrice; Grace si barcamena tra il lavoro di contabile in libreria, la cura delle famiglia e il peso di un marito frustrato e nullafacente; infine la neo assunta Evie,  tra le prime donne laureate di Cambridge, approda alla libreria come archivista dopo aver visto sfumare la sua carriera accademica in favore di un collega decisamente meno brillante di lei, ma privilegiato in quanto maschio. Saranno proprio la caparbietà e l’ intuizione di Evie le chiavi di volta che proietteranno la libreria Bloomsbury e  tutte le sue protagoniste verso  un cambiamento epocale ed un finale inaspettato (e felice).

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Questo romanzo è un vero e proprio inno al sodalizio femminile, un legame che se costruito e sfruttato in modo intelligente può trasformarsi nel più prezioso degli alleati. Sfidare preconcetti e anacronistiche convenzioni sociali richiede   coraggio, determinazione e anche molta incoscienza, per questo spesso restiamo all’angolo, perché non ci sentiamo abbastanza equipaggiate per affrontare tutte le difficoltà che comporta mettersi contro al pensiero dominante. Avventurarci in questo terreno così ostile con la consapevolezza di avere intorno una solida rete di protezione, invece, può fare davvero la differenza. E cambiare tutto.

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Tanti i riferimenti culturali (lo stesso titolo prende spunto dal “Circolo Bloomsbury” tra i cui membri spiccavano le sorelle Vanessa Bell e Virgina Woolf) e diversi gli omaggi che la Jenner offre a noi lettori, uno su tutti il cammeo dedicato a Daphne Du Maurier, che le protagoniste incontrano durante uno degli appuntamenti letterari organizzati dalla libreria. Fresca del successo di “Mia cugina Rachele” (pubblicato nel 1951), con le sue tematiche di rottura fu una delle prime autrici a raccontare la colpevolezza maschile, la dipendenza economica delle donne dagli uomini, la paura dell’autonomia femminile: non poteva che toccarle un posto d’onore.

🔖 TE LO CONSIGLIO SE:

– Le atmosfere squisitamente british ti mandano in solluchero

– Gli anni del boom economico sono la tua comfort era

– Ti identifichi nelle storie di chi si salva da solo in barba alle avversità

Buona lettura!

Tre libri da leggere in autunno

(Tempo di lettura: 5 minuti)

Per scivolare pigramente tra le braccia dell’autunno appena arrivato, non c’è niente di meglio che abbandonarsi alla lettura. Le ombre della sera si allungano, le domeniche pomeriggio si fanno quiete e silenziose, avvolte da una soffusa luce dorata; agosto, con la sua sfacciataggine, lo abbiamo accomodato ormai fuori dalla porta. E’ ora di mettere su una tazza di the, di accoccolarci in poltrona e sprofondare in una storia che ci rapirà letteralmente l’anima.

1. L’OMBRA DEL VENTO di Carlos Ruis Zafròn

Pubblicato per la prima volta nel 2004, è il tipico esempio di un best seller che ce l’ha fatta, sopravvivendo a se stesso. Nel giro di qualche anno è diventato un vero e proprio classico della narrativa contemporanea tanto da guadagnarsi, per il suo quindicesimo anniversario, una nuova edizione riccamente corredata dalle suggestive immagini del fotografo Francesc Catalá-Roca, dedicate alla Barcellona post bellica in cui il romanzo è ambientato. Zafron, scomparso prematuramente nel 2020, ha imbastito una trama piuttosto originale che strizza l’occhio ad una molteplicità di generi: romanzo storico, mistery, giallo classico con spunti thrilleristici e notevoli incursioni nel gotico. Il tutto condito con elementi sovrannaturali che faranno storcere il naso alle menti più razionali e manderanno invece in solluchero tutte le altre. Ambientato a Barcellona del 1946, la storia ha come protagonista un ragazzino di undici anni, Daniel, il cui padre, proprietario di un piccolo negozio di libri usati, lo inizierà all’amore per la lettura e lo condurrà nei meandri di un mistero che si annida tra le pagine di alcuni vecchi testi. Durante la lettura attraverseremo insieme a Daniel i vicoli della città vecchia alla scoperta di antichi libri dimenticati ed orribili segreti, immersi in atmosfere plumbee e suggestive che renderanno la lettura di questo romanzo la compagnia perfetta per i nostri pomeriggi ottobrini.

2. I FALO’ DELL’AUTUNNO di Irène Nemirovski

La scrittura di Irene Nemirovski dispensa sempre momenti di pura gioia letteraria. Delicata e profonda, oltre che stilisticamente perfetta, la sua prosa evoca istanti di rara bellezza ed intensità, lasciandoci immersi in nostalgiche visioni, come se stessimo osservando rapiti un quadro impressionista. E’ davvero complicato riassumere in poche righe i motivi per cui vale la pena leggere questo romanzo, anche se una narrazione di così alto livello da sola potrebbe bastare come unica ragione. I protagonisti sono molteplici e differenti piani temporali scandiscono quella che è a tutti gli effetti un’opera corale, ambientata a Parigi negli anni a cavallo tra la prima e la seconda guerra mondiale. Tuttavia è la complessa storia d’amore tra Thérèse e Bernard a costituire il centro del romanzo, giovani vittime di un tempo feroce ed ingiusto. Le loro vite incarnano l’eterno conflitto dell’umanità tra il bene ed il male, qui rappresentati dall’amore ostinato di Thérèse e dal cinismo di Bernard, che torna dal fronte totalmente trasformato, come se la guerra gli avesse strappato via l’anima. La coralità delle voci protagoniste e la suddivisone della trama in “blocchi” narrativi, nonché le tematiche affrontate, verranno poi riprese e sviluppate dall’autrice nel suo capolavoro “Suite Francese“, rimasto incompiuto. L’autrice era un’ebrea ucraina naturalizzata francese, e come tale subì le terribili conseguenze della Shoah. Venne deportata Auschwitz, dove fu uccisa il 17 agosto del 1942.

” Vedi,” dice la nonna alla nipote, immaginando di prenderla per mano e condurla attraverso vasti campi in cui vengono bruciate le stoppie “sono i falò dell’autunno, che purificano la terra e la preparano per nuove sementi.

3. LE NOSTRE ANIME DI NOTTE di Kent Haruf

In questo romanzo non è l’autunno in senso fisico ad essere evocato dalla narrazione, ma l’autunno percepito come fase della vita, quella parte dell’esistenza che ci accompagna piano piano alla fine del nostro cammino terreno. Kent Haruf, dopo la pubblicazione postuma della sua famosa “Trilogia della pianura“, ci conduce ancora una volta nell’immaginaria cittadina di Holt, Colorado, facendoci conoscere due anziani vedovi, Addie e Louis. Un giorno come tanti Addie bussa alla porta di Louis proponendogli di dormire con lei per quella notte e per altre a venire, solo per farsi compagnia, per non sentire troppo il peso della solitudine. Nonostante le perplessità iniziali Louis accetta: nasce così un tenero sentimento fatto di notti trascorse a raccontarsi la vita a fior di labbra, mano nella mano, in attesa che arrivi il sonno. Nella quiete domestica di quelle sere le confidenze dei due diventano sempre più intime; attraverso confessioni, ricordi e rimpianti le loro anime affiorano in superficie in un modo nuovo, privo di giudizio, totalmente inaspettato. Naturalmente questa relazione non viene compresa dalla piccola comunità di Holt che ritiene decisamente inopportuni quegli incontri, se non addirittura scandalosi; ma, soprattutto, verrà osteggiata dai rispettivi figli, i quali considerano la convivenza notturna dei genitori una specie di follia senile. Nessuno riesce a percepire l’essenza di questo legame, l’atto di coraggio e di libertà che in realtà rappresenta. La vecchiaia per Haruf si trasforma in un’occasione di rinascita e la scelta di Luis ed Addie esprime il legittimo desiderio di essere nuovamente felici, contrariamente ad un’assurda regola sociale che vorrebbe gli anziani stare seduti al loro posto senza più disturbare, mentre attraversano con nostalgia e solitudine l’autunno della vita.

Vale la pena sottolineare però che lo stile di Haruf non è adatto a tutti: la trama è scarna e l’atmosfera rarefatta, i dialoghi sono ridotti all’essenziale e tutto contribuisce a proiettarci in una dimensione quasi spirituale, in cui gli avvenimenti restano sullo sfondo, superflui.

“Profumi perduti”, di Charlotte Link: cent’anni di storia europea

“Profumi perduti” è il secondo episodio di una saga familiare pubblicata da Charlotte Link diversi anni orsono. Acquistai compulsivamente tutti e tre i volumi perché Charlotte Link è tra le mie autrici preferite, ed ero praticamente certa che mi sarei buttata a capofitto in una storia affascinante e bellissima, a cui avrebbe fatto da sfondo quasi un secolo di storia europea. Bene! Cosa volere di più? Ed invece quella prima lettura si rivelò un mezzo fallimento: “Venti di tempesta”, a parte la perfetta trasposizione letteraria degli avvenimenti storici, presenta poco altro di interessante. In particolare la protagonista, una giovane tedesca dell’alta borghesia, mi era rimasta letteralmente indigesta. Felicia Donnelly, rampolla arrogante ed egoista, mi era parsa la copia mal riuscita di Rossella O’Hara. Questo parallelismo, sicuramente voluto dall’autrice, non ha reso giustizia alla sua protagonista, anzi, trovo che l’abbia ingiustamente penalizzata. Contesa da due uomini estremamente diversi tra loro, è anticonformista e caparbia al limite del sopportabile, ma ha in dono un grande fascino grazie al quale riesce a soggiogare una quantità di uomini imbarazzante per quei tempi. Tutti, indistintamente, sono pronti a stenderle il tappeto rosso quando noi lettori vorremmo invece solo  prenderla a schiaffi. Ogni volta che il suo sex appeal aggancia il malcapitato di turno, la Link insiste noiosamente ed inutilmente sulla descrizione dei suoi occhi grigi e freddi: talvolta sono  come l’acciaio, altre come il mare in burrasca, altre ancora come canne di fucile pronte a sparare, e chi più ne ha più ne metta. Sono il tratto distintivo delle donne della famiglia Donnelly, e come tale ce lo portiamo dietro anche in “Profumi perduti“. E, se tanto mi da tanto, anche nel terzo episodio della saga troveremo sicuramente qualche donna della famiglia che ci ammorberà con i suoi straordinari occhi. Questo secondo episodio, che mi ero ripromessa di non leggere ma che invece dopo anni ho deciso di affrontare, non ha deluso le mie aspettative medio basse. Lo scenario storico logicamente è cambiato, gli anni sono passati e ritroviamo Felicia nel pieno della sua maturità. Ha 42 anni, è madre di due figlie grandi, Susanne e Belle, ed entrambe l’hanno resa nonna. L’attenzione ora si sposta da Felicia alle figlie, in particolare Belle sembra essere la sua copia esatta: possiede infatti lo stesso fascino ambiguo della madre, la stessa freddezza e lo stesso egoismo e, soprattutto, gli stessi occhi grigi (aridaje) che faranno capitolare una nuova generazione di uomini. Susanne sposa un membro delle SS e pare priva di una volontà propria, ragione per cui resterà molto marginale alla storia. Ottenebrata dalla propaganda nazista del marito non si rende  pienamente conto di cosa significhi servire il Fuhrer. Cercherà fino alla fine di dare al marito a alla Germania un figlio maschio,  invece partorirà tre femmine una dietro l’altra  e sarà vittima di un matrimonio infelice. Belle invece sposa Max, un attore berlinese, ma a pochi mesi di distanza dal matrimonio si invaghisce di Andreas, imprenditore senza scrupoli bello e dannato che diventa il suo amante.  Belle a differenza della sorella ha un carattere fiero ed indomito, e pertanto destinata a diventare la protagonista principale del romanzo:  a lei viene affidato lo scomodo ruolo di eroina ribelle e volitiva, tenace e battagliera. Non solo Belle è identica alla madre fisicamente e caratterialmente, ma la Link le costruisce via via un vissuto che è praticamente il copia incolla di quello di Felicia. Ma perché? Non si poteva trovare qualcosa di diverso per Belle, che di mestiere fa l’attrice e non l’imprenditrice? Niente da fare, tocca rivivere le stesse scene di passione amorosa, di struggimento interiore e di sentimenti dilaniati, con questi occhi grigi che ogni tre per due saltano fuori a perseguitarci. Un altro appunto che sento di dover fare mio malgrado è l’inusitata lunghezza di alcune pagine nient’affatto funzionale alla storia, utili  solo ad allungare il brodo e a dilatare oltre modo la tensione degli avvenimenti che ne fanno da sfondo. Con duecento pagine in meno avrebbe avuto un ritmo più incalzante, le melensaggini sarebbero state ridotte al minimo indispensabile ed i continui richiami alla felicità domestica di Lullin,  la splendida tenuta di famiglia  situata nella Prussia Orientale a cui Felicia e le sue figlie sono così legate, sarebbero stati decisamente più godibili e meno stucchevoli. I paesaggi della campagna prussiana sono descritti in modo impeccabile, ma la troppa insistenza fa perdere pathos ai ricordi felici  di Felicia e delle sue figlie. Lullin rappresenta la bellezza autentica, la spensieratezza, la pace e la quiete interiore a cui sempre si poteva fare ritorno, ma i tempi sono cambiati irrimediabilmente e  l’orrore della guerra travolgerà anche quell’ultimo baluardo di felicità, portandosi via la storia di una famiglia intera. Una storia che Felicia, tornata protagonista verso la fine del romanzo, proverà a ricostruire grazie al suo spirito battagliero, fiaccato dagli eventi ma ancora animato da una  fiammella di speranza.

“Ti sei mai sentita disperata in vita tua? Sola? Hai mai avvertito un vuoto incolmabile dentro di te, oppure ti sei mai ubriacata una notte per dimenticare quanto può far male la vita?“

La Link è un’autrice da dieci e lode e lo dimostra anche in questo romanzo, nonostante le evidenti falle e tutte le critiche che si possono fare. Il suo stile è sempre una garanzia,  sa creare vere e proprie magie letterarie e da vita a personaggi che, antipatia o simpatia a parte, sembrano donne e uomini in carne ed ossa, con la loro inconfondibile fisionomia, la loro accurata costruzione psicologica e il proprio vissuto. Non sono figure statiche, ma seguono una loro evoluzione e non tradiscono mai la loro natura: questo è un aspetto importante, perché è l’unico elemento che è in grado di conferire verosimiglianza ad una saga familiare e che permette al lettore di immedesimarsi in tutto e per tutto. Anche l’ambientazione è molto ben riuscita, con una  ricostruzione storica da applauso.  Senza dubbio è stato questo aspetto a farmi apprezzare un romanzo che tutto sommato non ha nulla di eccezionale, trasportata dal susseguirsi degli eventi bellici. Sono diversi i personaggi che incontriamo proseguendo con la lettura, ed ognuno di loro ha un ruolo ed un approccio differente rispetto a quello che sta accadendo: Felicia non prende mai posizioni ufficiali ma detesta Hitler e si rifiuta di eseguire il saluto nazista, nonostante il genero sia un importante membro del Reich. Segue la sua indole e fa quello che ritiene giusto, offrendo riparo agli ebrei fuggiaschi e tacendo su quello che sa. Il suo ex socio in affari si adopera per offrire loro passaporti e lavoro oltre oceano, in modo che possano fuggire negli Stati Uniti, mettendo a repentaglio la sua stessa vita. Max, il marito di Belle, sarà costretto a partire per la campagna di Russia, assistendo con i propri occhi all’orrore dentro l’orrore, partecipe di una sconfitta di cui in Germania non si doveva parlare e che gli lascerà strascichi terribili. C’è poi Claire, una giovane e mite donna francese che, distrutta dal dolore per l’uccisione dell’unico figlio, si unirà ad un commando di partigiani e troverà la sua ragione di vita nell’eccidio del nemico. Le voci narrative si elevano molteplici durante il racconto, dando risalto ad un aspetto della guerra di cui forse si parla troppo poco: per la prima volta infatti mi è capitato di ascoltare il punto di vista del popolo oppressore, di una germania vittima anch’essa della follia di Hitler nonostante fosse la culla dell’orrore nazista. Uomini costretti ad assecondare i deliri di onnipotenza di un pazzo, dati in pasto all’inverno russo senza nessuna concreta possibilità di vincere, una Berlino che da quartier generale del terzo Reich si trasforma in un ammasso di cenere, dilaniata dalle bombe, ferita a morte nell’anima. E’ questa  la parte migliore del romanzo, ed è quella per la quale vale la pena leggerlo, nonostante le continue digressioni  sulle primavere prussiane e sugli occhi grigi delle donne di Lullin.

🔖TE LO CONSIGLIO SE:

  • Ami le saghe familiari
  • Il romanzo storico è tra i tuoi generi cult
  • Gradisci sempre un pizzico di passione amorosa