Mrs England, di Stacey Halls: il gotico in gran rispolvero

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in questo romanzo la protagonista, nonché l’io narrante, è Ruby May, una giovane bambinaia diplomata al prestigioso Norland Institute di Londra che, rimasta senza lavoro dopo aver rifiutato di trasferirsi in America al seguito della famiglia per cui lavorava, accetta senza indugio un nuovo incarico presso la famiglia England, nello Yorkshire. Ruby sa per esperienza che nessuna famiglia è perfetta, ma gli England sembrano incarnare magnificamente l’ideale edoardiano: un marito solido ed affasciante proprietario di una filanda, una moglie e una madre discreta, quattro bambini adorabili, una villa di campagna elegante con una nursery dislocata dal resto della casa. Ruby, appena arrivata col treno da Londra, pensa di aver trovato il luogo ideale in cui esercitare il proprio lavoro, anche se l’immagine della signora England che la osserva sulla soglia di casa le trasmette un’ inquietudine impossibile da decifrare. Non è solo la signora England a trasmettere sensazioni angoscianti, anche la lussuosa dimora che a prima vista sembrava sbucata fuori da una fiaba comincia a rivelarsi per quello che è, ovvero un guscio freddo, vuoto, immobile come una tomba. Giorno dopo giorno Ruby si troverà coinvolta nelle le pieghe di un matrimonio infelice, doloroso, in cui Mr England, uomo d’affari intraprendente e sicuro di sè, sembra incarnare la figura del marito e del padre esemplare, che offre protezione e cura alla prole e ad una moglie psicologicamente instabile. La famiglia England però non è la sola a custodire misteri e segreti inconfessabili : anche Ruby infatti serba nel cuore ricordi dolorosi che non ha mai rivelato a nessuno, dai quali fugge continuamente. In un crescendo di tensione e inquietudine, accompagnati dalle suggestioni di paesaggi brontiani magnificamente descritti, scardineremo il perbenismo di facciata degli England scoprendone miserie e debolezze, ed aiuteremo Ruby a liberarsi dall’ombra del passato.

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Un po’ “Cime tempestose”, un po’ “Rebecca la prima moglie”, quest’ultimo romanzo di Stacey Halls strizza l’occhio al romanzo gotico attingendo a piene mani dalle atmosfere della brughiera inglese di inizio 1900, foriera di suggestioni ed inquietudini come nella migliore tradizione di genere. L ‘autrice ha voluto rendere omaggio a capisaldi della letteratura di tutti i tempi cercando di ridare lustro ad un genere che in realtà non è mai sparito del tutto, anche se si colloca in un momento specifico della storia della narrativa. In questo contesto tipicamente “brontiano” la storia della famiglia England offre a noi lettori un accurato affresco della società edoardiana d’inizio secolo, un mondo ancora fortemente ancorato al passato in cui le differenze di classe erano nette ed invalicabili , così come i ruoli all’interno della famiglia.

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il Norland College, istituto in cui si è diplomata Ruby, esiste realmente ed è una prestigiosa istituzione fondata da Emily Ward a Londra nel 1892. Nel romanzo si parla molto della scuola, che ancora oggi sforna tra le migliori tate in circolazione, alcune delle quali sono state addirittura al servizio dei Royal babies. I particolari che emergono nel romanzo sono frutto di ricostruzioni molto fedeli di quello che rappresentava allora l’istituto, a cominciare dalla sua organizzazione interna fino ad arrivare agli aspetti più formali. Più volte durante il racconto la preparazione di Ruby si è rivelata fondamentale per aiutare i bambini nei momenti di difficoltà ancor più dei medici di famiglia, vecchi tromboni che guardavano queste giovani intraprendenti dall’alto in basso della loro supponenza. Un altro frammento della società di quei tempi che, disperatamente aggrappata alle sue tradizioni e ai suoi privilegi, è costretta a confrontarsi suo malgrado con le prime incursioni di modernità.

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 TE LO CONSIGLIO SE:

  • Cerchi una lettura che ti incolli alle pagine
  • Ami la brughiera e la vita bucolica
  • Ti diverti a dipanare i misteri

LEGENDA: 

📖= Uno sguardo alla trama (ma senza spoiler)

🔍= Il focus

💡= l’idea in più

“L’incubo di Hill House”, di Shirley Jackson: una storia da brivido

Shirley Jackson, scrittrice  e giornalista statunitense del secolo scorso, da qualche anno sta vivendo una nuova popolarità. La sua produzione letteraria si concentra prevalentemente in racconti brevi, per i quali ottenne  diversi riconoscimenti tra gli anni quaranta e gli anni cinquanta. I suoi romanzi di maggior successo, Abbiamo sempre vissuto nel castello (1962) e L’incubo di Hill House (1959), la consacrarono alla fama definitiva in patria. Rimase però sempre una scrittrice d’èlite, riservata ad un pubblico raffinato, fino a quando nel 2007 viene istituito a suo nome un prestigioso premio letterario che diffonde la sua fama a macchia d’olio. Il Shirley Jackson Award” è il  premio annuale per la letteratura horror, dark e di suspense psicologico che negli Stati Uniti è diventata negli anni una vera e propria istituzione. Ma è il contributo di Stephen King, suo profondo estimatore, ad essere decisivo per l’incremento della  popolarità della scrittrice.  Quello che negli anni sessanta rimase un fenomeno di nicchia, riservato ai connazionali appassionati del genere gotico/psicologico, grazie alle dichiarazioni di King travalica l’oceano accendendo la curiosità dei suoi innumerevoli lettori. L’autorevolezza di uno scrittore di culto come Stephen King segna inevitabilmente un punto di svolta nella fama postuma della Jackson:  in Italia la casa editrice Adelphi comincia nel 2012 a dare alle stampe le sue opere più celebri, le quali ottengono rapidamente  un ampio consenso. Stephen King  ha dichiarato di essere stato ispirato dai racconti della Jackson in più di un’occasione,   affermazione che trova facile riscontro in molti dei suoi romanzi più famosi. Mi viene in mente, uno su tutti, “Shining” : claustrofobico ed angosciante, ha molti tratti in comune con “L’incubo di Hill House”.

Prima di leggere il romanzo è bene conoscere almeno sommariamente la vita dell’autrice, perché le sue vicende personali influenzarono enormemente i suoi scritti. Shirley Jackson fu tragicamente segnata da traumi infantili importanti, che la resero psicologicamente fragile ed inquieta. Finì tra le braccia di un marito sbagliato, al quale si aggrappò in cerca pace e protezione, ottenendo invece in cambio solo altre umiliazioni. La supportò nel suo lavoro di giornalista e scrittrice perché aveva fiducia nelle sue capacità, ma l’infedeltà continua di lui insieme agli irrisolti problemi con la madre la portarono ad abusare di tranquillanti, anfetamine ed  alcol. Un percorso difficile, lastricato di paure e fobie che sfociarono infine in un brutto esaurimento nervoso, dal quale si riprese lentamente. Non fece però in tempo a godersi la ritrovata libertà mentale, perché un infarto la colse nella notte a soli 48 anni. Shirley Jackson fu una donna molto sfortunata, vittima di abusi psicologici che costituirono l’imprinting di tutte le sue opere: il rifiuto della madre, il maschilismo retrogrado del marito, un ruolo di moglie e di madre dal quale si sentiva schiacciata crearono dentro di lei una prigione mentale ed una condizione di sudditanza psicologica che non le permise mai di sentirsi realizzata ed appagata,  nemmeno dal proprio lavoro.

La protagonista di questo romanzo è Eleanor Vance, una ragazza  con alle spalle un passato infelice, permeato di solitudine e dolore. Per anni costretta ad accudire la madre malata, una volta morta la genitrice decide di dare una svolta alla sua esistenza rispondendo all’annuncio del professor John Montague. Il professore, laureato in antropologia e appassionato studioso di fenomeni paranormali, decide di prendere in affitto l’antica ed isolata dimora di Hill House perché infestata da strane presenze. Il suo progetto di ricerca prevede l’ausilio di alcuni volontari dotati di particolari abilità psichiche, ma il gruppo iniziale composto da  cinque prescelti si riduce a tre: Luke Sanderson, nipote dell’attuale proprietaria della villa, l’artista Theodora ed infine Eleonor, entrambe con  esperienze paranormali alle spalle. Eleonor infatti è convinta di aver sentito sua madre chiamarla durante la notte, invocando il suo aiuto, quando oramai era morta da giorni. Theodora è esuberante ed eccentrica, mentre Eleanor è timida ed insicura ed ancora profondamente turbata dalla morte della madre, della quale si sente in qualche modo responsabile. Comincia così questa storia, una storia di fantasmi ricca di elementi gotici che è considerata giustamente un caposaldo della letteratura di genere.

“Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni. hill house, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant’anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di hill house, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola.”

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I primi giorni scorrono senza che accada nulla, ma proprio quando l’esperimento ristagna e la permanenza degli ospiti a Hill House sembra essere nulla più che un banale soggiorno in una vecchia dimora di campagna, qualcosa comincia a strisciare all’interno, ad insinuarsi  nei meandri delle antiche mura, qualcosa di vivo e malvagio che lentamente, ora dopo ora, comincia ad intaccare la stabilità mentale degli occupanti. La Jackson è avara di dettagli orrorifici e punta tutto sull’immaginazione, stimolando la paura attraverso ciò che – appositamente – non viene rivelato.


E’ la suggestione a dominare il racconto, un’ inquietudine che viene continuamente alimentata da avvenimenti  scientificamente inspiegabili, quanto meno non del tutto. Attraverso un’abile  prosa ad effetto,  l’autrice fa oscillare pagina dopo pagina i suoi protagonisti tra normale e paranormale, tra l’elemento razionale e quello sovrannaturale confondendo, stordendo, disorientando.


Anche le dinamiche all’interno del gruppo si modificano in continuazione, fino a quando convergeranno in un’unica direzione: l’allontanamento forzato di Eleanor, giudicata da tutti oramai troppo instabile mentalmente per proseguire con l’esperimento. E’ Eleonor infatti la vittima prescelta dalle sinistre presenze che abitano la casa, una dimora antica come antichi sono i demoni che la popolano. Non già creature spaventose con le sembianze dei mostri dell’infanzia, ma un’entità maligna  che riesce ad insinuarsi nelle menti più labili, fino a possederle del tutto. E’ la casa stessa a volere Eleonor, la povera, indifesa, triste e sola Eleonor che lentamente impazzisce, perdendo la percezione di sè stessa e sentendo Hill House come se fosse il suo corpo:  “E’ dentro di me, è nella mia testa, ed ora esce, esce, esce…” 

Cosa differenzia questo romanzo così datato da tutti gli altri capolavori di genere? Prima di tutto il background psicologico della scrittrice  fornisce la base ideale per un’opera gotica: gli stereotipi ci sono tutti, e nonostante attingano a piene mano dal suo vissuto la Jackson riesce a  giocarci con grande abilità. L’eroina infelice, psicologicamente fragile e disturbata non è altro che la proiezione di sè stessa. Secondariamente, ma non per importanza, la Jackson utilizza una prosa pressochè perfetta. Si potrebbe trovare  da ridire sulla trama scarna o sul ritmo poco incalzante, ma è proprio nell’apparente staticità degli accadimenti che Hill House – in realtà – si muove. Le scene di stasi e di descrizione del paesaggio risultano essere perfino più angoscianti di quelle in cui si manifesta il paranormale, grazie ad una tecnica narrativa da dieci e lode che riesce a creare eccezionali suggestioni. Si ha sempre la sensazione che qualcosa di terribile stia per accadere, strisciando intorno ad Eleonor, fuori e dentro di lei, anche quando semplicemente osserva il tramonto o cammina lungo il sentiero che conduce alla casa.

Nonostante sia universalmente riconosciuto come un capolavoro, questo romanzo ancora oggi non è immune da pesanti critiche e c’è perfino chi , appassionato di horror spiccio, lo trova noioso ed inconcludente, prolisso e al tempo stesso pieno di buchi nella trama. Probabilmente non siamo abituati a trovare tanta profondità in una storia di fantasmi e di paura, e la cosa forse può   essere fuorviante.


“L’incubo di Hill House” è prima di tutto una storia di solitudine estrema,  straziante e crudele, raccontata con una raffinatezza ed una eleganza inusuale. Il terrore, la paura e l’angoscia arrivano quando la sofferenza ed i conflitti interiori hanno già spezzato in due la vita dei protagonisti, prendendosi quel che resta. Il messaggio di fondo è uno solo, una verità incontrovertibile: sono i nostri fantasmi interiori quelli che fanno più paura, assai più spaventosi e crudeli di quelli che popolano le case infestate.


L’incubo di Hill House – Shirley Jackson (Gli Adelphi)

“The Quick”, di Lauren Owen: misteri, vampiri e sale da the

The Quick” è stato l’esordio folgorante di una giovane autrice, Lauren Owen. Questa ragazza, poco più che trentenne, è riuscita ad imbastire una storia di vampiri “vecchio stile” che cattura fin dalle prime righe, trasportando il lettore in un mondo antico ed arcaico, in cui la fantasia domina la realtà rendendo molto difficile  distinguere ciò che è  leggenda da ciò che è  storia. I vampiri, figure mitologiche le cui origini si perdono nella notte dei tempi, non smetteranno mai di affascinare i lettori di ogni generazione e di essere la fonte principale di ispirazione per chi di mestiere scrive storie da brivido: a cominciare da Bram Stoker, capostipite del genere e creatore di Dracula, fino a Stephen King, che ci ha condotto per mano lungo le stradine buie di Jerusalem’s Lot  facendoci tremare le viscere.
Le saghe più recenti (Twilght in testa) hanno rivisitato la figura dei Vampiri giocando molto sul loro aspetto fascinoso, umanizzandoli al punto  da instillare in loro il sentimento per antonomasia: l’amore. Per me si tratta di blasfemia e su questa considerazione mi fermo, perché non voglio infierire su ciò che è già triste di suo. I vampiri hanno una loro dignità ed una storia millenaria che li ha sempre resi i protagonisti indiscussi delle nostre paure: Lauren Owen restituisce loro un’immagine di spietatezza,  e di questo le sono davvero grata. I vampiri bellocci che si innamorano di adolescenti non fanno  proprio per me.
Lo sfondo in cui l’autrice colloca i suoi protagonisti è la Londra vittoriana di fine ottocento, un’ambientazione molto suggestiva che aiuta il lettore a calarsi perfettamente nella storia. La capitale inglese alla  fine del XIX secolo rappresentava uno dei maggiori fulcri di stabilità e di benessere economico: rivoluzione industriale, espansione coloniale, assenza di guerre. Ma questa nuova ricchezza portò con se anche molti aspetti negativi, creando lacerazioni profonde nel tessuto sociale.
I risvolti  delle nuove politiche economiche furono devastanti: il divario tra nuova borghesia e nuovi poveri non fu mai così ampio come ai tempi della Regina Vittoria. I contrasti interni erano stridenti, il tasso di delinquenza  elevatissimo,  i sobborghi erano fogne a cielo aperto  impestate di malattie e di prostituzione. L’epoca vittoriana diventò  tristemente nota per la diffusione del lavoro minorile ed il conseguente analfabetismo.
I nobili ed i banchieri arricchiti si trinceravano nei loro club esclusivi a parlare di affari e a sorseggiare tè con superficiale ottimismo, forti di una condizione non sarebbe mai mutata, mentre a due passi dalla City la fame mieteva vittime e cresceva orfani. Questo aspetto storico è una parte fondamentale del libro, perché  i Vampiri, seguendo l’ombra delle vite che hanno strappato, rimangono legati loro malgrado al susseguirsi degli eventi e si conformano alla società del tempo. Sono creature che si adattano ai tempi in cui vivono perché ne sono la macabra prosecuzione, ma disprezzano profondamente gli uomini e rifuggono il contatto con essi. Li considerano esseri inutili, inferiori. Sentono il loro tanfo a diversi passi di distanza e ne sono infastiditi, i loro luoghi di aggregazione li inorridiscono. L’unico istinto che li guida verso l’uomo è il bisogno di sangue, di cui non possono fare a meno. L’uomo comune, stolto e pusillanime, è solo un enorme sacca  da cui trarre alimento e nient’altro. Nessuna emozione potrà mai guidarli verso altre strade.
La nostra storia inizia in una decadente dimora della campagna inglese,  in cui vivono due ragazzini: Charlotte e James. I due fratelli dopo la morte della madre crescono molto uniti ma terribilmente soli, con un padre quasi sempre assente per lavoro e l’anziana governante. Il padre in realtà tornerà da loro, ma solo perché la sua salute non gli consente più alcun tipo di spostamento: morirà poco dopo. L’ambiente isolato ed i pochissimi contatti umani alimentano nei due giovani un forte desiderio di evasione, attratti dalla vitalità e dal fermento culturale di Londra : James si sente particolarmente portato per la scrittura, e decide così di approfittare della rendita paterna per recarsi a studiare nella grande città. A questo punto le vite dei due protagonisti si dividono: lasciamo da parte Charlotte, ancora immersa nei doveri verso la famiglia, per avventurarci insieme a James nella sua nuova esistenza. I primi giorni a Londra sono molto confusi per lui, ingenuo ragazzo di campagna, fino a quando incontrerà Christopher Paige. Christopher, un dandy affascinante dedito un po’ troppo all’alcol e ad altri vizi,  appartiene ad una ricca famiglia della città e stringerà con James una forte amicizia. Andranno a vivere insieme da un’affittuaria e sarà proprio Christopher ad introdurre James nel cuore della vita mondana londinese. Cene eleganti, teatri, club esclusivi… James viene iniziato ai piaceri della vita cittadina e la sua carriera come commediografo stenta sempre di più a decollare. Sono due gli avvenimenti che segneranno inesorabilmente il suo destino: l’incontro con il presidente dell’esclusivo club “AEgolius” e la scoperta dell’amore, laddove non l’avrebbe mai cercato. Dopo poco, James scompare. Charlotte è molto preoccupata perché suo fratello non risponde più da mesi alle sue lettere e così, finalmente libera da impegni domestici, decide di partire alla volta di Londra per cercare di capire cosa sta succedendo a James.
Charlotte scoprirà come tra le vie di Londra si annidi un sottobosco di creature ibride, chiamate gli “Spenti”, in contrapposizione con gli “Animati”, appartenenti invece al genere umano. Dal momento che i vampiri sono costretti a seguire l’evoluzione umana, la stratificazione sociale della Londra vittoriana si rifletterà anche nel loro mondo e darà vita a feroci lotte tra i vari clan presenti nel territorio urbano. Gli esponenti della nobiltà in decadenza e i nuovi ricchi fanno tutti capo al misterioso AEgolius, di cui James ha già scoperto l’esistenza. Il loro scopo, oltre a quello banale della mera sopravvivenza, è  attirare nelle proprie fila i personaggi più in vista della città e giovani promettenti con determinate qualità intellettuali: vogliono cambiare le cose per sempre, instaurando una vera e propria egemonia di Spenti. Questo nuovo ordine  avrebbe dominato da principio  l’intera Londra, per poi espandersi ovunque. La loro sete di potere, unita al desiderio di mantenere intatti i privilegi di cui godono, guida il loro implacabile istinto sanguinario. Dall’altra parte del Tamigi, tra i fumi delle industrie e la puzza di marcio delle vie suburbane, vivono  gli Alia. Gli Alia sono i miserabili, i pezzenti, sono rozzi succhiasangue privi di qualsiasi regola morale. I loro capo è una donna, che offre loro riparo e mezzi di sostentamento in cambio di totale abnegazione.
Fra gli Alia vi sono molti bambini, un tempo orfani, dimenticati o creduti morti dai loro genitori. Scorrazzano per la città in cerca di sangue fresco e obbediscono agli ordini della loro padrona, sono privi di qualsiasi tenerezza infantile   e giocano tra gli Animati sperando di riuscire ad addentarli quando la fame si fa sentire. Perché non è così facile distinguere gli Spenti dagli Animati. Si confondono perfettamente nella folla, ma la loro velocità di spostamento è sovrumana. Hanno ferite impercettibili sul corpo, segno delle loro appartenenza, ed occhi immobili in cui galleggia il vuoto. Hanno fame, e spesso questo li tradisce, ma per il resto sono perfettamente integrati nella società. E soprattutto nessuno di loro accetta di essere chiamato per quello che è veramente: un vampiro.
Chi ha rapito James? Perché i membri dell’AEgolius si avvalgono di uno studioso che usa alcuni di loro come cavie? Cosa hanno scoperto sui vampiri moderni? Cos’è lo “scambio” e perché è una regola così pericolosa da contravvenire?
Charlotte si ritroverà suo malgrado coinvolta in queste lotte di classe per salvare se stessa e  suo fratello da un terribile destino, e nel farlo verrà aiutata da una strana coppia di cacciatori di vampiri e da un sopravvissuto al piano dell’ AEgolius.
C’è forse un sovraccarico di misteri e di inversioni di rotta in questo romanzo, ma il tutto è ampiamente compensato da una scrittura fluida, perfetta, pulita. Ogni descrizione, da quelle della malinconica e dolce  campagna inglese fino a quelle della cupa e fumosa  Londra di fine ottocento,  ci fanno immergere completamente nelle atmosfere gotiche di questa storia.

I vampiri sono un tema ampiamente sfruttato dalla letteratura di tutti i tempi, eppure in questo romanzo non vi stancherete mai di sentir parlare di loro, anzi: ne vorrete sapere sempre di più, incollati a pagine che sfoglierete avidi una dopo l’altra. Troverete comunque qualcosa di nuovo, di appetitoso, di stuzzicante e al tempo stesso di terrificante. Sentirete sempre un sottile senso di angoscia strisciare tra le mura di casa vostra. Scapperete anche voi tra i vicoli fuligginosi di Londra in cerca di un nascondiglio, perché il buio  non riuscirà ad offrirvi abbastanza riparo; e quando leggendo dei bambini vampiri passerete aldilà del Tamigi, sentirete uno sbuffo gelido alitarvi sul collo.

The Quick, Lauren Owen (Fazi)

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