Libri in pillole: “Il giardino delle bestie” di Erik Larson

“Il giardino delle bestie” è un riuscitissimo amalgama tra cronaca e romanzo storico, anche se non ha la pesantezza e la freddezza di questi generi. Il protagonista, William Dodd, è infatti realmente esistito e Larson racconta la sua esperienza di ambasciatore americano nella culla del terzo Reich. Tutto si svolge nell’anno 1934, periodo cruciale che cambiò per sempre il volto di Berlino e della Germania intera: è questo l’anno della rivoluzione dei giovani nazisti e dell’ascesa al potere di Hitler. L’originalità del romanzo è il punto di vista con cui questo enorme cambiamento viene raccontato, che è quello di uno uomo politico straniero che con la sua famiglia si trasferisce in Germania per intraprendere la carriera diplomatica. Dodds Arriva a Berlino con l’entusiasmo di chi, come lui, conobbe la Germania agli albori del 1900, quando studiò a Lipsia e tutto era un brulicare di vita, di cultura, di benessere: ben presto però si rende conto di quanto il suo ricordo fosse fuorviante e non più aderente ad una realtà profondamente trasformata. Dodds era un intellettuale del partito democratico, sostenitore di Franklin D. Roosevelt eletto alla Casa Bianca nel novembre 1932; era indubbiamente attratto dalla vita pubblica ma non possedeva le finezze di una mente politica, e l’unico motivo per il quale fu scelto da Roosevelt per rivestire l’importante ruolo diplomatico era la sua familiarità con il mondo tedesco, seppur limitata al solo aspetto accademico. Il neo ambasciatore era un uomo integerrimo distante anni luce dai giochi di potere della politica, fermamente convinto che il suo dovere più importante fosse portare come esempio i suoi principi egualitari e l’ideale jeffersoniano di democrazia liberale. A causa di questa sua impostazione, più da docente (qual in effetti era) che da scaltro rappresentante USA in terra straniera, ben presto verrà giudicato un inetto dai suoi connazionali e diventerà una facile pedina degli uomini di Hitler. Pagina dopo pagina, giorno dopo giorno vedremo lui e la sua famiglia scivolare in un terribile incubo da cui ne usciranno tutti irrimediabilmente distrutti. Dodds con la sua ingenuità e la figlia Martha con la sua spudoratezza sentimentale vivono a loro modo l’ orrida ascesa nazista, di cui si renderanno pienamente conto solo alla fine, quando saranno costretti a spalancare increduli gli occhi di fronte al primo tremendo atto di follia: la Grande Purga compiuta da Hitler contro i presunti oppositori del regime, il 30 giugno del 1934, passata alla storia come “la notte dei lunghi coltelli”.

“Profumi perduti”, di Charlotte Link: cent’anni di storia europea

“Profumi perduti” è il secondo episodio di una saga familiare pubblicata da Charlotte Link diversi anni orsono. Acquistai compulsivamente tutti e tre i volumi perché Charlotte Link è tra le mie autrici preferite, ed ero praticamente certa che mi sarei buttata a capofitto in una storia affascinante e bellissima, a cui avrebbe fatto da sfondo quasi un secolo di storia europea. Bene! Cosa volere di più? Ed invece quella prima lettura si rivelò un mezzo fallimento: “Venti di tempesta”, a parte la perfetta trasposizione letteraria degli avvenimenti storici, presenta poco altro di interessante. In particolare la protagonista, una giovane tedesca dell’alta borghesia, mi era rimasta letteralmente indigesta. Felicia Donnelly, rampolla arrogante ed egoista, mi era parsa la copia mal riuscita di Rossella O’Hara. Questo parallelismo, sicuramente voluto dall’autrice, non ha reso giustizia alla sua protagonista, anzi, trovo che l’abbia ingiustamente penalizzata. Contesa da due uomini estremamente diversi tra loro, è anticonformista e caparbia al limite del sopportabile, ma ha in dono un grande fascino grazie al quale riesce a soggiogare una quantità di uomini imbarazzante per quei tempi. Tutti, indistintamente, sono pronti a stenderle il tappeto rosso quando noi lettori vorremmo invece solo  prenderla a schiaffi. Ogni volta che il suo sex appeal aggancia il malcapitato di turno, la Link insiste noiosamente ed inutilmente sulla descrizione dei suoi occhi grigi e freddi: talvolta sono  come l’acciaio, altre come il mare in burrasca, altre ancora come canne di fucile pronte a sparare, e chi più ne ha più ne metta. Sono il tratto distintivo delle donne della famiglia Donnelly, e come tale ce lo portiamo dietro anche in “Profumi perduti“. E, se tanto mi da tanto, anche nel terzo episodio della saga troveremo sicuramente qualche donna della famiglia che ci ammorberà con i suoi straordinari occhi. Questo secondo episodio, che mi ero ripromessa di non leggere ma che invece dopo anni ho deciso di affrontare, non ha deluso le mie aspettative medio basse. Lo scenario storico logicamente è cambiato, gli anni sono passati e ritroviamo Felicia nel pieno della sua maturità. Ha 42 anni, è madre di due figlie grandi, Susanne e Belle, ed entrambe l’hanno resa nonna. L’attenzione ora si sposta da Felicia alle figlie, in particolare Belle sembra essere la sua copia esatta: possiede infatti lo stesso fascino ambiguo della madre, la stessa freddezza e lo stesso egoismo e, soprattutto, gli stessi occhi grigi (aridaje) che faranno capitolare una nuova generazione di uomini. Susanne sposa un membro delle SS e pare priva di una volontà propria, ragione per cui resterà molto marginale alla storia. Ottenebrata dalla propaganda nazista del marito non si rende  pienamente conto di cosa significhi servire il Fuhrer. Cercherà fino alla fine di dare al marito a alla Germania un figlio maschio,  invece partorirà tre femmine una dietro l’altra  e sarà vittima di un matrimonio infelice. Belle invece sposa Max, un attore berlinese, ma a pochi mesi di distanza dal matrimonio si invaghisce di Andreas, imprenditore senza scrupoli bello e dannato che diventa il suo amante.  Belle a differenza della sorella ha un carattere fiero ed indomito, e pertanto destinata a diventare la protagonista principale del romanzo:  a lei viene affidato lo scomodo ruolo di eroina ribelle e volitiva, tenace e battagliera. Non solo Belle è identica alla madre fisicamente e caratterialmente, ma la Link le costruisce via via un vissuto che è praticamente il copia incolla di quello di Felicia. Ma perché? Non si poteva trovare qualcosa di diverso per Belle, che di mestiere fa l’attrice e non l’imprenditrice? Niente da fare, tocca rivivere le stesse scene di passione amorosa, di struggimento interiore e di sentimenti dilaniati, con questi occhi grigi che ogni tre per due saltano fuori a perseguitarci. Un altro appunto che sento di dover fare mio malgrado è l’inusitata lunghezza di alcune pagine nient’affatto funzionale alla storia, utili  solo ad allungare il brodo e a dilatare oltre modo la tensione degli avvenimenti che ne fanno da sfondo. Con duecento pagine in meno avrebbe avuto un ritmo più incalzante, le melensaggini sarebbero state ridotte al minimo indispensabile ed i continui richiami alla felicità domestica di Lullin,  la splendida tenuta di famiglia  situata nella Prussia Orientale a cui Felicia e le sue figlie sono così legate, sarebbero stati decisamente più godibili e meno stucchevoli. I paesaggi della campagna prussiana sono descritti in modo impeccabile, ma la troppa insistenza fa perdere pathos ai ricordi felici  di Felicia e delle sue figlie. Lullin rappresenta la bellezza autentica, la spensieratezza, la pace e la quiete interiore a cui sempre si poteva fare ritorno, ma i tempi sono cambiati irrimediabilmente e  l’orrore della guerra travolgerà anche quell’ultimo baluardo di felicità, portandosi via la storia di una famiglia intera. Una storia che Felicia, tornata protagonista verso la fine del romanzo, proverà a ricostruire grazie al suo spirito battagliero, fiaccato dagli eventi ma ancora animato da una  fiammella di speranza.

“Ti sei mai sentita disperata in vita tua? Sola? Hai mai avvertito un vuoto incolmabile dentro di te, oppure ti sei mai ubriacata una notte per dimenticare quanto può far male la vita?“

La Link è un’autrice da dieci e lode e lo dimostra anche in questo romanzo, nonostante le evidenti falle e tutte le critiche che si possono fare. Il suo stile è sempre una garanzia,  sa creare vere e proprie magie letterarie e da vita a personaggi che, antipatia o simpatia a parte, sembrano donne e uomini in carne ed ossa, con la loro inconfondibile fisionomia, la loro accurata costruzione psicologica e il proprio vissuto. Non sono figure statiche, ma seguono una loro evoluzione e non tradiscono mai la loro natura: questo è un aspetto importante, perché è l’unico elemento che è in grado di conferire verosimiglianza ad una saga familiare e che permette al lettore di immedesimarsi in tutto e per tutto. Anche l’ambientazione è molto ben riuscita, con una  ricostruzione storica da applauso.  Senza dubbio è stato questo aspetto a farmi apprezzare un romanzo che tutto sommato non ha nulla di eccezionale, trasportata dal susseguirsi degli eventi bellici. Sono diversi i personaggi che incontriamo proseguendo con la lettura, ed ognuno di loro ha un ruolo ed un approccio differente rispetto a quello che sta accadendo: Felicia non prende mai posizioni ufficiali ma detesta Hitler e si rifiuta di eseguire il saluto nazista, nonostante il genero sia un importante membro del Reich. Segue la sua indole e fa quello che ritiene giusto, offrendo riparo agli ebrei fuggiaschi e tacendo su quello che sa. Il suo ex socio in affari si adopera per offrire loro passaporti e lavoro oltre oceano, in modo che possano fuggire negli Stati Uniti, mettendo a repentaglio la sua stessa vita. Max, il marito di Belle, sarà costretto a partire per la campagna di Russia, assistendo con i propri occhi all’orrore dentro l’orrore, partecipe di una sconfitta di cui in Germania non si doveva parlare e che gli lascerà strascichi terribili. C’è poi Claire, una giovane e mite donna francese che, distrutta dal dolore per l’uccisione dell’unico figlio, si unirà ad un commando di partigiani e troverà la sua ragione di vita nell’eccidio del nemico. Le voci narrative si elevano molteplici durante il racconto, dando risalto ad un aspetto della guerra di cui forse si parla troppo poco: per la prima volta infatti mi è capitato di ascoltare il punto di vista del popolo oppressore, di una germania vittima anch’essa della follia di Hitler nonostante fosse la culla dell’orrore nazista. Uomini costretti ad assecondare i deliri di onnipotenza di un pazzo, dati in pasto all’inverno russo senza nessuna concreta possibilità di vincere, una Berlino che da quartier generale del terzo Reich si trasforma in un ammasso di cenere, dilaniata dalle bombe, ferita a morte nell’anima. E’ questa  la parte migliore del romanzo, ed è quella per la quale vale la pena leggerlo, nonostante le continue digressioni  sulle primavere prussiane e sugli occhi grigi delle donne di Lullin.

🔖TE LO CONSIGLIO SE:

  • Ami le saghe familiari
  • Il romanzo storico è tra i tuoi generi cult
  • Gradisci sempre un pizzico di passione amorosa

“Una piccola libreria a Parigi” di Nina George: quando i libri curano l’anima

A Parigi c’è una libreria galleggiante, ormeggiata lungo la Senna. E’ una vera e propria imbarcazione: una specie di chiatta a motore. Il suo proprietario si chiama Jean Perdu, e vent’ anni fa acquistò la LULU’ per ristrutturarla e creare così la sua “farmacia letteraria”. Questa è l’insegna che troneggia a prua della chiatta, perché non si tratta di una normale libreria ma di un luogo dove viene curata l’anima di chi entra. Secondo Monsieur Perdu i libri sono come medicine per i sentimenti guastati, quelli che fanno stare male. Ognuno di noi li ha, ma spesso siamo talmente abituati alla loro compagnia che non ce ne rendiamo più conto. Lui possiede la dote naturale di riuscire a percepire, per ogni cliente che entra a bordo della sua Lulu’, quale siano i sentimenti da rimettere a posto. Bastano qualche sguardo, qualche domanda, e il libro giusto arriva nelle mani del lettore giusto.

Volevo dedicarmi a quegli stati d’animo che non hanno lo status di malattia e che i dottori non degnano di attenzione. Tutte queste timide emozioni, i moti interiori, a cui nessun terapeuta si interessa perché probabilmente troppo piccoli o incomprensibili. Ciò che proviamo quando l’estate finisce di nuovo. O quando capiamo di non avere più tutta la vita davanti per poter trovare il nostro posto nel mondo. O anche i sottili dispiaceri per quando un’amicizia rimane in superficie e bisogna continuare la ricerca di un confidente. La malinconia che ci coglie la mattina del compleanno. La nostalgia dell’aria che respiriamo nell’ infanzia. E cose del genere.”


Ovviamente i libri non sono dottori. Ci sono romanzi che sono ottimi compagni di vita, altri sono come ceffoni. Altri ancora come un’amica che ti avvolge in una vestaglia calda quando l’autunno ti fa sentire malinconico. E alcuni sono come zucchero filato rosa, solleticano il cervello per tre secondi, lasciando dietro di sé un gioioso vuoto. I libri sono come le persone, e le persone sono come i libri: con questa semplice convinzione Monsieur Perdu riesce a trovare i libri per tutti.


Il romanzo che non ha ancora trovato, però, è il più importante: quello per aiutare se stesso. Da anni la sua vita ordinata e metodica nasconde un profondo dolore che ha ostinatamente deciso di confinare all’ interno di una stanza del suo appartamento. L’ha barricata e sigillata, insieme ad una lettera che giace lì da vent’ anni. Aprirla e leggerla cambierà la sua vita e quella di alcuni amici i quali, ognuno con il suo bagaglio di ottimi motivi, si ritroveranno a bordo della Lulù per un viaggio lungo la Senna, verso la Provenza e verso una felicità nuova e del tutto inaspettata.

Alla fine anche Monsieur Perdu ed i suoi strampalati compagni di viaggio riusciranno a trovare il libro della loro vita, ma non prima di aver affrontato il dolore e la paura che avevano scelto di ignorare. Questo romanzo è delizioso come una baguette calda, bizzarro, commovente, di quelli che fanno compagnia senza disturbare; ma è anche un po’ ruffiano, a cominciare dal titolo. Quale lettore non vorrebbe immergersi in un racconto che mescola ingredienti come Parigi, la Senna, la Provenza, il Tango, il buon cibo, i libri, e un paio di gatti randagi che portano il nome di grandi scrittori? A volte abbiamo bisogno di storie a lieto fine, di spensieratezza e di sognare ad occhi aperti: Monsieur Perdu vi guarderebbe di soppiatto, mentre entrate barcollando nella sua libreria galleggiante, ma capirebbe in un lampo che è la malinconia a rendere pesante i vostri passi. Vi ruberebbe lo sguardo una manciata di minuti per scorgere un velo di tristezza in fondo  ai vostri occhi, e poi, con l’aria di chi la sa lunga, vi regalerebbe questa storia.

Una piccola libreria a Parigi – Nina George (Sperling & Kupfer)

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