Le librerie NewYorkesi che hanno fatto la storia del cinema

Le librerie sono luoghi che hanno un fascino irresistibile, noi lo sappiamo bene. Quando il sabato pomeriggio varco la soglia delle mia libreria preferita sono in grado di trascorrere  un’ora intera a curiosare tra i suoi scaffali: perdo letteralmente  la cognizione del tempo, come se fossi sospesa dalla realtà; la mente si svuota, mi rilasso, e provo un sottile piacere difficile da spiegare. Sono sicura di rilasciare endorfine in quel momento, proprio come dopo una lunga corsa. Vi ricordate del film “Colazione da Tiffany”, con Audrey Hepburn e George Peppard? Holly Golightly adorava  aggirarsi con caffè e brioche, alle primi luci del mattino, davanti alla vetrina di Tiffany:  fissava  imbambolata quella magnifica esposizione di gioielli convinta che in quel posto, avvolto da tanta magica bellezza, nulla di brutto le sarebbe potuto accadere. Era il suo antidoto contro la malinconia.

Io vado pazza per Tiffany: specie in quei giorni in cui mi prendono le paturnie. Le paturnie sono orribili: è come un’improvvisa paura di non si sa che cosa”.

Ecco. Le librerie sono la nostra vetrina di Tiffany. Passeggiare su e giù tra le ultime novità, i bestsellers e quell’angolo dimenticato in cui finiscono i libri che nessuno compra mai, è un antidepressivo naturale per quelle giornate un po’ storte e il regalo giusto da farci quando sentiamo che abbiamo assolutamente bisogno di prenderci un po’ di tempo tutto per noi. Siamo noi quelle strani? Io penso di no. Penso invece che sia una terapia largamente riconosciuta: si da  il caso infatti che il cinema spesso abbia preso in prestito questi luoghi al nostro mondo trasformandole nelle locations  ideali per incontri inaspettati e romantici, o per ambientarvi le scene “clou” della storia. I libri sono magia. Chi legge lo sa.

Questo articolo di Cristina Prasso è comparso diverso tempo fa sul magazine on line “IL LIBRAIO”: è un elenco delle librerie newyorkesi che hanno fatto la storia del cinema, rimanendo impresse nella memoria collettiva di ognuno di noi. Dai film di Woody Allen a quelli di Roman Polansky, da “C’è Posta per te” a “Harry ti presento Sally”, ecco le  indimenticabili cine-librerie, con una serie di curiosità in proposito tutte da scoprire:


1) Embryo Concepts

 Appare in: Cenerentola a Parigi (Funny Face, 1957) di Stanley Donen

Commessa: Jo Stockton (Audrey Hepburn)

Frequentata da: Dick Avery (Fred Astaire)

Esiste davvero? No. La libreria fu interamente ricostruita nei Paramount Studios a Los Angeles. Le sequenze parigine furono invece girate nella capitale francese e la troupe dovette affrontare non poche difficoltà: dalla pioggia continua (e infatti la sceneggiatura venne modificata in questo senso), al fatto che Hepburn avesse imposto di girare lì esclusivamente nel periodo in cui anche suo marito Mel Ferrer si trovava a Parigi (come interprete del film di Jean Renoir Eliana e gli uomini).



2) Gotham Book Mart

Appare in: Rosemary’s Baby (1957) di Roman Polanski

Frequentata da: Rosemary Woodhouse (Mia Farrow)

È il luogo in cui: Rosemary va a cercare qualche libro sulla stregoneria e si convince che il marito(Guy, interpretato da John Cassavetes) sia coinvolto nella cospirazione “diabolica” dei loro vicini di casa, i coniugi Minnie e Roman Castevet (Ruth Gordon e Sidney Blackmer).

Esiste davvero? Sì, anche se è stata chiusa nel 2007. Attiva dal1920 e scelta da Polanski perché meravigliosamente caotica e sottilmente inquietante, questa libreria ‒ su tre piani ‒ è stata frequentata da quasi tutti i più grandi scrittori americani, da John Dos Passos ad Arthur Miller, da Saul Bellow a J. D. Salingere ad Allen Ginsberg. I duecentomila oggetti che ospitava – non solo libri ma anche stampe, disegni e fotografie – sono stati donati all’ University of Pennsylvania dall’anonimo acquirente che li aveva comprati all’asta dopo la chiusura.



3) The shop around the corner / Fox and Sons Book 

Appaiono in: C’è posta per te (You’ve Got Mail,1998) di Nora Ephron

Proprietari: Kathleen Kelly (Meg Ryan)/ Joe Fox (Tom Hanks)

Sono i luoghi in cui: si scontrano, idealmente, due diversi modi di pensare la libreria e i libri. Mentre Kathleen punta tutto sul calore e sulla competenza, Joe agisce in modo sfacciatamente “industriale”. Ignari delle loro rispettive identità, i due cominciano una fitta (e tenera) corrispondenza per e-mail e scopriranno di essere acerrimi nemici quando (forse) è troppo tardi…

Esistono davvero? No. Il negozio di Kathleen, The Shop Around The Corner (in omaggio al bellissimo film di Ernst Lubitsch di cui C’è posta per te è il remake), era il Maya Schaper’s Cheese and Antiques Shop, un negozio così amato da Nora Ephron da spingerla a trasformarlo nella libreria del film. Così Ephron mandò la proprietaria in vacanza (pagata), lo modificò e, a riprese concluse, lo riallestì esattamente come prima. Oggi è una lavanderia, La Mode Cleaners. Il palazzo che ospita “Fox and Sons Books” esiste ancora, ma ovviamente non ha più nulla della mega libreria di Joe.


4) Shakespeare & Co.

Appaiono in: Harry ti presento Sally (When Harry Met Sally, 1989) di Rob Reiner

È il luogo in cui: «C’è uno che ti guarda dagli scaffali di psicologia», sussurra Marie (Carrie Fisher) a Sally, riferendosi a Harry che sta sbirciando da sopra un libro. Così, dopo cinque anni, Harry e Sally si ritrovano. Entrambi single, entrambi non ancora pronti ad ammettere…la verità.

Esiste davvero? Sì, sebbene sia stata chiusa nel 1996, dopo una strenua lotta durata tre anni contro il “colosso” Barnes & Noble, che aveva aperto una sua libreria a un isolato di distanza (e fu proprio questa lotta che ispirò la sceneggiatrice del film, Nora Ephron, a scrivere C’è posta per te). A New York rimane comunque ancora attiva la Shakespeare and Co. di Lexington Avenue.



5) Pageant Book & Print Shop

Appaiono in: Hannah e le sue sorelle (Hannah and her Sisters, 1986) di Woody Allen

Frequentato da: Lee (Barbara Hershey), Elliot (Michael Caine)

È il luogo in cui: s’incontrano “per caso” Lee ed Elliot, maritodi Hannah (Mia Farrow) e sorella di Lee; grazie anche a un librodi poesie di E.E. Cummings, diventano amanti.

Esiste davvero? Sì, ma nel 1999 ha dovuto chiudere per via dell’impennata degli affitti nella zona. È diventato quindi il Pageant Bar and Grill e adesso è il Central Bar. Però la libreria continua la sua attività online.


Non me ne voglia la brava giornalista, però nell’articolo c’è una grave dimenticanza… E la Libreria Rizzoli? Quella dove si incontrano Molly e Frank, ovvero Robert de Niro e Meryl Streep nel film “Innamorarsi”? Avevo trovato un articolo in proposito tempo addietro, perché questa libreria ha fatto davvero la storia non solo del cinema, ma anche di New York stessa (oltre ad essere un importante simbolo dell’eccellenza italiana). Aggiungo subito due appunti!

 Appare in : Innamorarsi (Falling in love, 1984) diretto da Ulu Grosbard

Frequentata da : Molly (Meryl Streep) e Frank (Robert de Niro)

E’ il luogo in cui: accidentalmente, scontrandosi, Molly e Frank si scambiano i libri che avrebbero dovuto regalare ai rispettivi coniugi. A distanza di tre mesi si incontrano nuovamente in treno. Finiscono col darsi appuntamento sempre più spesso, e durante i loro incontri, nei quali si raccontano le rispettive vite, scoprono di stare bene l’uno in compagnia dell’altro.

Mai sottovalutare il potere della cultura e delle tradizioni. E dei libri!

 

 

“Shakespeare and Company”: la libreria più visitata del mondo

A Parigi, in uno degli angoli più caratteristici de ”la rive gauche”, e precisamente in Rue de la Bucherie n.37, esiste un luogo che sembra uscito fuori dal tempo e dallo spazio. Un antico edificio situato in una delle vie più note, le cui finestre si affacciano nientemeno che sull’ abbazia di Notre Dame, ospita dal 1951 la libreria più famosa e visitata d’Europa: la “Shakespear & Co.” Il suo proprietario, George Whitman ( come altro poteva chiamarsi?) l’ha sempre definita “un’utopia socialista mascherata da libreria”: l’originale signore infatti dentro il suo negozio non offriva soltanto buone letture da acquistare, ma anche libri da leggere senza nessun impegno e soprattutto metteva a disposizione, per tutti i viaggiatori che desideravano un alloggio temporaneo, alcuni giacigli tra gli scaffali. A patto però che fossero lettori veri, scrittori, poeti o aspiranti tali. Lui definiva queste persone “tumbleweed”, il termine con cui gli americani chiamano quelle palle di sterpi e ed erba secca che rotolano lungo le strade dei paesaggi desertici, sospinte dal vento. Il prezzo da pagare in cambio? Dare una mano in negozio e leggere almeno un libro al giorno. Non so se questo aneddoto sia realtà o leggenda, ma posso testimoniare che i letti tra i libri esistono davvero e, almeno la domenica in cui sono capitata io, erano occupati da persone che dormivano tranquillamente, incuranti del via vai dei visitatori. Il motto di questo rifugio per letterati itineranti dice così: “Sii gentile con gli sconosciuti, perché potrebbero essere angeli nascosti”. Chi ha conosciuto George Whitman sostiene che fosse gentile anche con i ladri: nonostante avesse pescato con le mani nel sacco diversi giovani non ha mai denunciato nessuno, perché sosteneva che se fossero finiti in prigione allora lì avrebbero davvero imparato a rubare. E’ morto nel 2011 a 98 anni, leggendo sempre, fino all’ultimo giorno, in compagnia della figlia Sylvia e degli amici più cari. Era un visionario, un sognatore, un socialista americano del New Jersey che non ha mai svenduto i suoi ideali, detestava il consumismo e amava intensamente la vita, in quel modo antico e sapiente che nessuno conosce più. George era un uomo unico, ed ha saputo trasferire questa sua unicità anche alla sua libreria, facendola conoscere ovunque nel mondo. Fu frequentata dai maggiori esponenti della letteratura internazionale degli ultimi 50 anni, e nel tempo è diventata così famosa che perfino Woody Allen nel suo film “Midnight in Paris” la inserisce tra i luoghi che è d’obbligo visitare per un turista americano in viaggio a Parigi, al pari dei monumenti nazionali. Ma questo è un dettaglio, perché la Shakespear & Co. era arcinota ben prima che il regista l’omaggiasse nel suo film. La sua fama non deve rendere grazie ad abili strategie di marketing e pubblicità di questo tipo, perché la notorietà Whitman se l’era costruita giorno dopo giorno, rimanendo fedele alla sua idea di cultura, che per lui era un vero e proprio stile di vita. Ha creato il suo negozio come se fosse lo specchio della sua anima errante ed utopistica, tanto che la figlia ama paragonarlo al più grande sognatore che la letteratura di tutti i tempi ci abbia mai regalato: Don Chisciotte di Cervantes. Whitman credeva davvero che la vita comunitaria in questo luogo fosse possibile e necessaria: viveva qui, con la porta del negozio aperta sette giorni su sette, dal mattino fino alle 23, dopo di che chiudeva i battenti. Per la figlia Sylvia vivere e lavorare con un visionario così fuori dagli schemi è stato, per sua stessa ammissione, al tempo stesso gratificante e frustrante. Era uno spirito anticonformista che con la sua profonda cultura e il suo desiderio di scambio fra esseri umani stimolava e incoraggiava chiunque avesse intorno a dedicarsi alla scrittura e alla poesia, ma rifiutava qualsiasi tipo di innovazione. Non aveva senso pratico e secondo lui tutto doveva rimanere al suo posto. Aggirandosi tra quei volumi, spesso vecchi ed introvabili, di cui tantissimi in inglese, si rimane intrisi di un qualcosa di indefinibile, una sensazione che è un misto di nostalgia e di meraviglia. E’ difficile rendere l’idea. Gli interni in legno, le scale alte e strette che cigolano ad ogni passo, i libri ingialliti che rivestono intere pareti da cui non filtra nemmeno uno spillo di luce, i divanetti stinti, i post it colorati con dediche e versi scritti da chissà chi appiccicati alle bacheche: tutto contribuisce a trasportarci in un’altra dimensione.

Si prova un senso di perdita per un mondo che si è inevitabilmente trasformato, e si prova stupore  perché noi, che non siamo più in grado di stare un’ora senza il nostro smartphone, qui non ci verrebbe mai in mente di chiedere la connessione WiFi. Anche senza internet, questa finestra temporale che si apre al nostro ingresso è in grado di proiettarci in luogo in cui é possibile incontrare l’intero pianeta.

Non hai bisogno di viaggiare per il mondo”, diceva George alla figlia Sylvia, “qui è il mondo che viene da te”.

La storia di come nacque questa libreria è affascinante come uno dei tanti romanzi che qui hanno trovato la loro dimora. Whitman si laureò in giornalismo a Boston nel 1935, ma non si dedicò mai alla carriera. La sua indole vagabonda e curiosa lo portò a viaggiare attraverso gli Stati Uniti, il Sud America, l’Asia, addirittura la Groenlandia, oltre che in Europa. Poi, nel 1945, il definitivo ritorno a Parigi, che da quel momento  divenne la sua casa. Nel 1951 apre la sua libreria, che in origine chiamò “Le Mistral” in onore della sua fidanzata dell’epoca. Cambiò successivamente nome in “Shakespear & Co.” nel 1964, per una concomitanza di cause: la storia di questo nome è collegata sia al 400 esimo anniversario della nascita del grande drammaturgo, che cadeva proprio quell’anno, ma soprattutto fu legata ad un’altra vicenda. Un’emigrata statunitense di nome Sylvia Beach aprì originariamente la Shakespeare & Co. al numero 8 di rue Dupuytren, nel 1919. Il locale fungeva sia come negozio di libri vero e proprio sia come sala di lettura. Nel 1921 la Beach spostò la libreria al 12 di Fue de l’Odéon, dove rimase fino a quando fu costretta a chiuderla, nel 1941, in piena occupazione nazista. Durante questo periodo la Shakespeare & Co diventò il centro della cultura anglosassone in Francia.

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Sylvia Beach con Ernest Hemingway davanti all’originaria “Shakespeare & Co.”

Intorno alla Beach e alla sua libreria hanno gravitato scrittori e artisti della cosiddetta “generazione perduta” e tanti altri: Ernest Hemingway, Ezra Pound, Francis Scott Fitzgerald, Gertrude Stein,George Antheil, Man Ray , Henry Miller, Anais Nin, Ray Bradbury e James Joyce passarono molto tempo al suo interno ad animare i salotti letterari, incontri che all’epoca erano fondamentali per il loro lavoro. La Shakespeare & Co ed suoi frequentatori furono menzionati proprio da Hemingway in “Festa mobile”, il romanzo in cui racconta gli anni della sua vita parigina quando ancora era uno scrittore di belle speranze. Sylvia Beach era la padrona di casa ideale per questi salotti, apprezzata per le sue idee anticonformiste e perché metteva la passione per la cultura davanti a tutto: qui in Francia faceva circolare titoli banditi in Inghilterra e negli Stati Uniti, come “L’amante di Lady Chatterley” di D.H.Lawrence o l’”Ulisse” di James Joyce. Proprio quest’ultimo, posto sotto censura in quei paesi, in Europa venne stampato per la prima volta nel 1922 dalla Beach. Il colpo di grazia che causò alla donna la chiusura definitiva dell’attività fu il suo rifiuto di vendere ad un ufficiale nazista l’ultima copia di “La sveglia di Finnegan” di Joyce. Anche Whitman capitò nella libreria della Beach, assistendo a diversi incontri letterari. Quando scelse di cambiare in “Shakespear & Co” il nome della sua libreria sicuramente lo fece nell’intento di proseguire in qualche modo il lavoro svolto dalla Beach, dando continuità al suo pensiero libero e ribelle, trovando in lei ispirazione ed esempio. E lo fece talmente bene, in modo così originale ed appassionato che le sue idee  sopravvissero ai tempi e alle mode. Per lui, così come fu per la Beach, la diffusione della cultura e la possibilità di renderla fruibile a tutti erano alla base della loro idea di comunità. Fu così che ancora una volta questa libreria, seppur cambiano luogo e proprietario, diventò il punto di riferimento per le correnti letterarie del periodo: gli esponenti della cosiddetta “Beat Generation”, tra i quali Allan Ginsberg e il suo compagno Peter Orlovsky, facevano tappa fissa da Whtiman, organizzando memorabili circoli letterari. Ancora oggi scrittori come Paul Auster e Jonathan Safran Foer si ritrovano spesso in Rue de la Bucherie n.37, partecipando agli incontri che oggi sono seguiti dalla figlia di George ( che tra parentesi chiamò Sylvia proprio in onore della Beach). Nonostante l’evolversi naturale dell’attività commerciale, che ha dovuto adeguarsi ai tempi più per necessità che per convinzione, la figlia ha voluto lasciare intatta il più possibile la tradizione. Oggi nel negozio sono presenti wireless, telecamere di videosorveglianza e, naturalmente, pc e tablet: dopotutto, siamo pur sempre nel 2018. Però, se dal piano terra in cui sono allocati i libri di nuova pubblicazione saliamo al secondo piano, ecco che troviamo l’angolo dei poeti:

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un piccolo cantuccio con una panca rivestita di una sbiadita stoffa rossa,  e tutt’intorno post it lasciati dai poeti di passaggio con scritti versi, frasi, omaggi, saluti. In uno dei corridoi che collegano una stanza all’altra c’è una nicchia, ricavata tra gli scaffali, che contiene al suo interno una postazione da scrittore: scrivania, sedia, e macchina da scrivere risalente agli anni cinquanta perfettamente funzionante, a disposizione di chiunque voglia cimentarsi nella scrittura. Sparsi un po’ dappertutto ci sono letti e divani ricavati tra gli stretti spazi delle stanze, piccole ma stracolme di volumi. All’ingresso, poco dopo aver varcato la soglia, il motto di George Whitman saluta i suoi avventori:

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E’ stata la generosità che ricevette George durante il periodo trascorso da “nomade” ad ispirare in lui il desiderio di offrire la stessa ospitalità ai giovani letterati che ne facevano richiesta, e ancora oggi la figlia Sylvia offre lo stesso incoraggiamento a chi vuole fare questa esperienza di viaggio, di vita e di lavoro. Non c’è la possibilità di prenotare perché decide lei se accettare o meno la richiesta di alloggio ed il prezzo è lo stesso che ha sempre chiesto suo padre: motivazione, un paio di ore di lavoro in libreria, leggere almeno un libro al giorno e una breve biografia da poter conservare nel loro personalissimo libro degli ospiti.

Il mondo è cambiato, la letteratura è cambiata, ma non lo spirito di chi la ama, ed è questo che voleva mantenere in vita George. E’ quello che ha permesso alla sua libreria di passare indenne attraverso le innovazioni tecnologiche ed i grandi bookstores, e che ha dato carattere e personalità ad un angolo come tanti di Parigi, trasformandolo in un crocevia di culture differenti.
George Whitman, forse il più grande utopista degli ultimi cinquant’anni, socialista, idealista, sognatore dall’anima errante, una volta ha detto:

Ho creato questo negozio come un uomo scriverebbe un romanzo, costruendo ogni stanza come se fosse un capitolo. Mi piace che la gente apra le sue porte nello stesso modo in cui apre un libro.”

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George Whitman